SPECIALE ALFONSO CUARÓN
Mondi futuri
Quando si parla di fantascienza futuristica fondamentale è il momento di delineare il mondo, che siano solo i dettagli di un’astronave o globalmente l’ambiente che avvolge i personaggi. È la creazione di una visione inscindibile dallo sguardo che gli autori danno del presente, come i futuri alienanti e prospetticamente deformati di Terry Gilliam o quelli intessuti di profondo nichilismo postatomico che trova in Mad Max il suo epigono più riconosciuto.
Ma ci sono anche gli universi architettonicamente mai troppo lontani dal nostro presente e contraddistinti da superfici logore di un mondo sempre più vicino a noi, impossibilitati a ripulirsi attraverso l’evoluzionismo tecnologico − ciò che i prodotti Apple hanno rappresentato facendo leva nella pulizia del design − dove i bianchi graffiati di District 9 e Elysium lasciano intravedere le fredde componenti meccaniche di una realtà sempre simile a se stessa. È nella vicinanza e riconoscibilità che l’universo di I figli degli uomini preme fin dall’inizio, futuro simile al nostro presente e cassa di risonanza dei problemi odierni, in una babele di tematiche condensate sul piccolo territorio della Gran Bretagna. È un futuro che richiama direttamente quello già immaginato da Roger Walters e Gerald Scarfe e trasposto su pellicola da Alan Parker, irrimediabilmente dominato dallo squilibrio e governato da uno stato totalitario lontano anni luce da un’idea socialmente equa. È nello sguardo trasversale usato da Cuarón che I figli degli uomini trova il suo reale interesse, nel quale il viaggio intrapreso dai protagonisti attraversa tutto un mondo intero sciogliendone sullo sfondo il manifestarsi delle sue problematiche, e dove è possibile scorgere Guantánamo sullo scorrere del finestrino di un pullman. Un movimento esterno a quello che intraprendono i personaggi, che proseguono dritti la strada di salvataggio dell’unica donna rimasta incinta dopo un ventennio di sterilità mondiale, come mostra il lungo piano sequenza precedente l’atto conclusivo della vicenda, con la camera intenta a seguire la scia dei protagonisti mentre, tutt’attorno, il territorio inglese si trasforma in un Medio Oriente in ebollizione, nel perpetuo fronteggiarsi tra occidente e oriente in cui le connotazioni di spazio e tempo sembrano assumere sempre meno senso per ritrovarsi in un qui e ora umano nell’atto d’implodere.
I figli degli uomini [Children of Men, Gran Bretagna/USA 2006] REGIA Alfonso Cuarón.
CAST Clive Owen, Julienne Moore, Michael Caine, Chiwetel Ejiofor.
SCENEGGIATURA Alfonso Cuarón, David Arata, Mark Fergus, Timothy J. Sexton. FOTOGRAFIA Emmanuel Lubezki. MUSICHE John Tavener.
Fantascienza/Drammatico, durata 98 minuti.