Sospesi fra Hollywood e il Nürburgring
Chissà cosa hanno pensato i tanti, tantissimi esperti di motori, che raramente perdonano buffonate e cialtronate quando si tratta della storia delle corse sportive, quando Ron Howard, che di motori non si è mai occupato nella sua lunga carriera, ha confermato l’intenzione di voler ripercorrere la rivalità leggendaria fra Niki Lauda e James Hunt.
Confido che in questi casi preferisco una visione infedele, quale io sono in parte, invece che una puntigliosa analisi della finzione che, in quanto tale, non può e non deve appiattirsi sul reale. In Rush Howard ripercorre con sapienza il rapporto sfaccettato che legò per molti anni due campioni della Formula 3 e successivamente della Formula 1, ma prima di lasciare giustamente spazio alle affascinanti immagini di corsa, realizzate nel vecchio circuito del Nürburgring, si sofferma sugli individui, su due personalità prorompenti ma in modo totalmente divergente. Hunt, interpretato da Chris Hemsworth, è il playboy sfacciato e incosciente che tutti ammirano ma nessuno ama veramente; Lauda, interpretato da un Daniel Brühl in ottima forma, è il genio morigerato e previdente, antipatico quanto basta per avere attorno una e una sola persona, sua moglie. Seguendo il tracciato segnato dalle loro vite, la pista prolunga e amplifica a dismisura questo scontro fra nemesi, fermandosi un attimo prima di diventare manicheo, un passo prima di cadere nel precipizio delle banalità, divenendo teatro e attore, nel caso dello sciagurato incidente che coinvolse Lauda nel 1976, della leggenda, carnefice e salvatore di due vite speciali. Howard separa nettamente i due atti della scena che continuamente si alternano: la vita dentro la pista, non solo durante le gare, ha un ritmo cento volte superiore rispetto alla vita fuori dalla pista, momento privilegiato per sbirciare l’emozione, per invadere l’intimità dei personaggi mantenendo sempre una rispettosa distanza propria della finzione e limitandosi a richiamare il reale (i filmati di repertorio) solo sul finale, quando ormai il cerchio drammatico si è chiuso. Con una leggenda già scritta per il 90% dalla storia, Howard si ripete ottimo interprete dello spirito di un’epoca, gli anni ’70, già evocata in Frost/Nixon- Il duello. Ma al contrario di quella visione dai colori e dalle luce tipicamente americane, l’epopea Hunt/Lauda sembra girata con una sorta di macchina da presa malinconica, che satura i colori favorendo toni scuri e una luminosità tetra che è simbolo dello spauracchio della morte che incombe sui piloti. Il pregio più evidente di Howard sta proprio in questo suo tentativo di contaminare il classico hollywoodiano con il multiforme europeo, in un film a budget relativamente basso (38 milioni di dollari, meno del doppio di Cinderella Man) che necessariamente doveva trovare la sua forza nella capacità di racconto. Tanto di cappello, signor Howard.
Rush [Id., USA/Germania/Gran Bretagna 2013] REGIA Ron Howard.
CAST Daniel Brühl, Chris Hemsworth, Olivia Wilde, Alexandra Maria Lara, Pierfrancesco Favino.
SCENEGGIATURA Peter Morgan. FOTOGRAFIA Anthony Dod Mantle. MUSICHE Hans Zimmer.
Biografico/Drammatico, durata 123 minuti.