Paura e delirio a Manila
Non bisogna lasciarsi ingannare dall’incipit da melodramma smorzato di Mariposa in the Cage of the Night: il film si apre con una giovane ragazza di campagna, Maya, che riceve una lettera da un’amica della sorella Mona che vive a Manila, con la richiesta di raggiungere subito la città.
Il primo elemento “di disturbo”, di contaminazione dell’ambiente bucolico e tranquillo in cui vive Maya è la presenza di un varano, catturato e scuoiato dalla protagonista per il proprio sostentamento. Da quel momento sarà per tutti – noi spettatori ignari in cima alla lista – una vorticosa discesa negli Inferi. Giunta a Manila, Maya trova il cadavere della sorella in un obitorio, sfigurato e imputridito. All’orrore si sostituisce subito un’urgenza improrogabile: sono necessari 40 mila pesos affinché il corpo non venga venduto all’università. Inizia il tour dello squallore e del marciume, attraverso le baracche maleodoranti e le fabbriche sozze di una metropoli che ha molto da nascondere. Pur non essendo suddiviso in rigidi capitoli, in Mariposa è ben visibile dapprima una svolta da thriller investigativo e successivamente una più cupa deriva che di colpo ci fa sprofondare nell’orrore. L’orrore di ristoranti che offrono ai clienti pipistrelli, serpenti e presunti minotauri; quello dei relitti umani che si nutrono di cervello di scimmia per aumentare le proprie prestazioni sessuali; quello – infine – del folle villain (menzione d’onore all’allucinato interprete Mark Gil) che coltiva il sogno di clonare il proprio amore perduto attraverso terrificanti operazioni di chirurgia a base di sigillante per pneumatici. Seppur attraverso alcune eccessive lungaggini e una parte action risolutiva non esattamente avvincente, il film di Richard V. Somes è un limpido esempio di un’industria che in questi anni ha ampiamente imparato a fare di necessità virtù. Al mercato filippino manca il denaro, ma di certo non il coraggio. E allora largo spazio ai fantasy (su tutti l’irrefrenabile Resiklo di Mark A. Reyes), ai musical e agli horror. E ampia visibilità a beffardi e iper-realistici drammi della quotidianità. Con i dovuti distinguo: perché se il cristallino cinema di Brillante Mendoza affonda le proprie mani in un’idea di “verità” cinematografica strettamente connessa al concetto di “sincerità”, e quindi alla dilatazione all’infinito di immagini sconvenienti e persino pornografiche (il parto di Thy Womb, lo stupro di Kinatay, la medicazione dell’infezione di Serbis), Somes punta invece su di una visione disseminata di stranezze che possono anche essere interpretate come esagerazioni. Ma il grottesco, il surreale e l’irrazionale rendono il discorso più versatile, valido non quindi solo per la contemporaneità asiatica. Ed è questa universalità a rendere il viaggio di Mariposa in the Cage of the Night ancora più inquietante.
Mariposa in the Cage of the Night [Mariposa sa Hawla ng Gabi, Filippine 2012] REGIA Richard V. Somes.
CAST Erich Gonzalez, Alfred Vargas, Mark Gil, John Lapus.
SCENEGGIATURA Richard V. Somes, Boo Dabli, Jimmy Flores. FOTOGRAFIA Ber Cruz. MUSICHE Emmanuel Aguila.
Thriller, durata 119 minuti.