SPECIALE MICHEL GONDRY
La pezza di cui sono fatti i sogni
Morto il padre in Messico per un cancro, Stephane Miroux ritorna a Parigi su richiesta della madre, che vive da anni con un altro uomo. Qui lo aspettano un lavoro in una mediocre azienda di calendari promozionali, tragicamente incompatibile con le sue doti di illustratore, e una bella vicina di casa, altrettanto timida e fantasiosa, di cui scegliere se innamorarsi oppure no.
Procede su questo doppio binario – la fantasia e i sentimenti – il film di finzione successivo a Eternal Sunshine of the Spotless Mind, che giustamente consacrò il suo autore e ne impose all’attenzione collettiva la capacità esemplare di orientarsi sui molteplici livelli che separano il sogno, l’immaginazione e la realtà. Anche L’arte del sogno si muove all’interno del medesimo cortocircuito cuore-mente, ma laddove il film solidamente sceneggiato da Charlie Kaufman era una riflessione sul passato, sulla memoria e la sua resistenza contro l’oblio e la solitudine, qui la prospettiva dei personaggi è tutta orientata al futuro – “cosa potrebbe essere se?” – e non esistono appigli reali con cui farsi forza e andare avanti, se non il rifugio, recidivo e patologico, dietro alle immagini e ai feticci dell’infanzia, alla capacità che hanno i giochi di pezza, la poesia e i congegni elettronici di semplificare il controllo sulla nostra vita e lasciarci dissolvere nel sogno di una bellezza che ancora non è. Per questo, se Eternal Sunshine si configura come un racconto di lotta, battagliero anche quando le speranze d’amore sembrano affievolirsi e svanire, L’arte del sogno è coerente – e talora, anche molto divertente – nel dipingere la rassegnazione affaticata di chi dipende dal proprio inconscio e grazie alla fantasia tenta di sopravvivere a un mondo volgare. Essere felici in amore è impossibile, sembra dire Gondry: nell’esatto istante in cui ci risvegliamo dai nostri sogni, la realtà è troppo complicata per permetterci di affrontare trasparentemente la contraddittoria verità degli affetti. Tengono in piedi questa commedia malinconica, che qualche volta gira a vuoto per l’esile caratterizzazione psicologica dei personaggi, le ottime performance di Gael García Bernal e Charlotte Gainsbourg, fotografati con ruvida umanità, figure imperfette e lontane dal divismo di tanti altri ruoli. Intorno a loro, lo sfoggio di quello straordinario talento visivo che è Michel Gondry, artigiano prima ancora che regista: la straripante qualità delle invenzioni materiche con cui l’autore trasfigura l’immagine cinematografica omaggia la grande scuola di animazione praghese e si conferma refrattaria a qualsiasi definizione o incasellamento, teneramente sospesa tra ciò che è romantico, e ciò che è soltanto surreale.
L’arte del sogno [La science des rêves, Francia/Italia 2006] REGIA Michel Gondry.
CAST Gael García Bernal, Charlotte Gainsbourg, Alain Chabat, Miou-Miou, Pierre Vaneck.
SCENEGGIATURA Michel Gondry. FOTOGRAFIA Jean-Louis Bompoint. MUSICHE Jean-Michel Bernard.
Commedia, durata 105 minuti.