Nino, non aver paura di fischiare un calcio di rigore
L’arbitro in più di una scena inciampa e cade, a volte rovinosamente, ma riesce sempre ad alzarsi, a volte splendidamente. L’esordio nel lungometraggio di Paolo Zucca, ispirato all’omonimo cortometraggio del 2009 dello stesso autore – che coincide più o meno col finale del film – sembra infatti fare della discontinuità di toni, generi e di qualità la sua principale ragione d’essere.
Un nitido ed estetizzante bianco e nero accompagna due storie parallele che si incontrano nel catartico finale: quella di un arbitro di alto livello, molto religioso ed integralista del regolamento, ma anche parecchio ambizioso; ambizione che per lui sarà fatale. Poi, quella di un eterno derby di terza categoria tra due squadre del rurale entroterra sardo, derby che influenza la vita quotidiana di tutto il paese e che diventa occasione sia per esorcizzare che per scatenare odi, rivalità e rancori. Filo conduttore è proprio il calcio, visto un po’ con l’occhio benevolo di chi ama questo sport, e un po’ con l’occhio ironico/critico di chi nota il suo essere una sorta di “religione civile”, ma anche con lo sguardo dell’antropologo che si rende conto di quanto, proprio per il suo essere “religione civile”, diventa metaforicamente uno straordinario contenitore di vizi e virtù di un popolo. Nel suo pot-pourri di toni, generi e stili il film può essere visto e vissuto in vari modi: la migliore tradizione della commedia all’italiana convive con i riecheggiamenti un po’ gratuiti dei volti pre-proletari di Pasolini e di un certo fellinianesimo di maniera; il nume tutelare è comunque il grottesco alla Ciprì e Maresco, meno provocatorio ed estremo ma con lo stesso difetto di essere estetizzante e risultare quindi un po’ didascalico. La poetica western fa capolino nelle due partite decisive che paiono la sfida all’Ok Corral, mentre l’arbitro che danza mentre dirige la gara apre, gustosamente, le porte del terreno di gioco al musical. Se deboli e non approfonditi sono i riferimenti alla dilagante corruzione generale, al contrario efficaci sono certe piccole annotazioni ironiche della vita di una piccola comunità, così come la rappresentazione di rivalità e odi atavici. C’è anche però un’ulteriore lettura interessante: le vicende dell’arbitro, in cui la forte fede è associata alla totale fedeltà al regolamento, diventano una sorta di allegoria religiosa, sorretta da certe scelte stilistiche, nella quale il finale in cui le due sottotrame si incontrano diventa per il direttore di gara un inferno a cui è stato spedito dall’eccessiva ambizione. Così è compiuta la metafora del calcio come religione civile, celebrata in un film discontinuo e affascinante, incostante e divertente, stilizzato ed originale.
L’arbitro [Italia 2013] REGIA Paolo Zucca.
CAST Stefano Accorsi, Alessio Di Clemente, Geppi Cucciari, Marco Messeri, Jacopo Cullin.
SCENEGGIATURA Barbara Alberti, Paolo Zucca FOTOGRAFIA Patrizio Patrizi MONTAGGIO Sarah McTeighe, Walter Fasano.
Commedia, durata 90 minuti.