Amplessi di sangue
C’è tutto Kim Ki-duk nella sua ultima opera presentata fuori concorso a Venezia. Sia stilisticamente: regia rigorosa ed essenziale, fotografia molto curata, inquadrature fisse rese dinamiche dal montaggio, uso frequente del primo piano e del dettaglio.
Sia nelle tematiche: concezione pessimista della vita, sguardo crudo e disincantato sulla società coreana, l’indissolubile trio sesso, dolore e morte, la ciclicità inesorabile che imprigiona (fin dal titolo, richiamo al paradosso del nastro di Möbius) personaggi impossibilitati a sfuggire al tragico destino. Non c’è possibilità di uscita, financo di scelta, in un’epoca contemporanea antropomorfizzata in un’implacabile divinità che richiede il suo tributo di sangue. Pedine inconsapevoli gli esseri umani, guidati dai fili invisibili della colpa e dell’espiazione, si dibattono in una spirale costellata da orrori, disumanità e sofferenza che sembra non avere fine e, soprattutto, non avere senso. Con Moebius, Kim affonda definitivamente il colpo nella carne di una società nella quale l’insormontabile muro d’incomunicabilità tra gli uomini, anche nello stesso nucleo famigliare, può essere scalfito e penetrato solo dalla violenza. Una violenza che nutre ogni personaggio, ne pervade ogni istante della vita, esplode a volte per vendetta, a volte immotivata, istintiva e animalesca, priva di ogni razionalità. Tutti sono vittime pronti a trasformarsi in carnefici, e perfino la sessualità, origine e motore di ogni avvenimento, non sfugge a questa logica e il godimento estremo è indissolubilmente legato al tormento della carne straziata. L’autore coreano firma un’opera spiazzante, nella sua totale assenza di dialoghi tra gemiti di piacere e urla di dolore, ed estrema, nell’escalation di botte, sadomasochismo, incesto, evirazioni e stupri. Inquietante, ancora più che in Pietà (Leone d’Oro lo scorso anno), la freddezza di una messa in scena che impedisce qualunque coinvolgimento emotivo, resa però necessaria per consentire la sopportazione degli orrori proiettati sullo schermo. Tuttavia non può lasciare soddisfatti la palpabile consapevolezza di assistere a un’operazione programmatica che finisce per presentarsi come ricattatoria nei confronti di un pubblico pensante. L’impero dei sensi di Kim Ki-duk risulta paradossalmente un po’ piatto e ripetitivo (su tutte, le scene di godimento masochistico), finisce per autocitarsi (la madre che masturba il figlio come in Pietà), cade comicamente nel grottesco (il pene evirato schiacciato da un camion) e rimane distante dall’inventiva “perversa” di Oshima. Unico momento ironico il finale, cinico e beffardo al punto giusto, è un tocco di classe, ma non basta.
Moebius [id., Corea del Sud 2013] REGIA Kim Ki-duk.
CAST Cho Jae-hyun, Seo Young-joo, Lee Eun-woo.
SCENEGGIATURA Kim Ki-duk. FOTOGRAFIA Kim Ki-duk.
Drammatico, durata 90 minuti.