La nostra classe
Un insegnante allampanato ma scherzoso (Valerio Mastandrea) sta insegnando italiano ad una classe di giovani extracomunitari, venuti in Italia alla ricerca di un futuro lontano dalle loro terre di origine, in molti casi squarciate dalla guerra o da regimi dittatoriali, come l’Africa e l’Iran.
La storia de La mia classe raccontata dal regista Daniele Gaglianone (Ruggine, I nostri anni) vuole essere un’intrusione meta-cinematografica nelle strutture della fabula, laddove realtà e finzione si intrecciano prendendosi per mano e accompagnando lo spettatore dentro un universo non più solo finzionale. L’idea è emersa poche settimane prima dell’inizio delle riprese: parte dei 17 ragazzi, attori non professionisti, che dovevano comporre la classe, non hanno i documenti in regola per lavorare nel film. Da qui l’idea di introdurre questa variabile umana all’interno del film stesso, interrompendo il flusso narrativo classico, invadendo lo spazio profilmico con telecamere, pause e, naturalmente, cambiando il registro dei dialoghi. Un’operazione che ha antecedenti illustri sia in Italia, Anna di Aberto Grifi e Massimo Sarchielli, sia nel ben più rivoluzionario Iran, dove Abbas Kiarostami prima, con la trilogia del ritorno (E la vita continua, Sotto gli ulivi, Il vento ci porterà via) e Jafar Panahi più recentemente (Lo specchio e Closed Curtain), ma che dopo una prima lettura forse troppo sbrigativa, sul valore del gesto al di fuori della messa in scena, mostra alcune crepe. Fermo restando l’innegabile valore sociale della pellicola (da gennaio in poi questa parola sparirà dalle recensioni) che mostra con strumenti non banali il difficilissimo percorso degli esuli, persone fuggite dalla terra di origine, dalla famiglia, dagli amori, per rifugiarsi in un luogo nuovo, apparentemente più sicuro, la storia cede proprio quando si visualizza il corto-circuito narrativo. Uno degli studenti si vede negare il rinnovo del permesso di soggiorno, Gaglianone entra in campo assieme all’aiuto regia, i due parlano con Mastandrea per capire cosa fare: continuare il film? Abbandonare il progetto? Il film prosegue ma gli studenti non sono più tranquilli: sui loro volti si può leggere lo spettro dell’espulsione. Si inventano una scusa per giustificare l’assenza del compagno che non può più partecipare alle riprese ma in quel momento la finzione, invece che interrompersi, si riattiva, con il ragazzo che torna prepotentemente in classe prima di essere scortato via da due carabinieri nel finale. Al di là dell’innegabile potenza dei gesti e delle parole che costellano il film, quella che sembrava essere la forza del progetto si rivela il suo più grande limite. Raccontare un’intrusione nella finzione attraverso gli strumenti propri della finzione stessa non regge, il limite deve essere ben marcato, come nei titoli sopra citati. Si deve capire se si tratta di un film sul film, di un film-verità, di un esperimento di meta-cinema, di un film su di un film che non è stato fatto (Lost in La Mancha di Gilliam), ma non si può far credere allo spettatore di avere davanti scene non cinematografiche quando, in realtà, niente è casuale e anche la realtà, l’estemporaneità, è filtrata dalle pagine di un copione già scritto.
La mia classe [Italia 2013] REGIA Daniele Gaglianone.
CAST Valerio Mastandrea, Bassirou Ballde, Mamon Bhuiyan, Gregorio Cabral, Jessica Canahuire Laura.
SCENEGGIATURA Daniele Gaglianone, Gino Clemente, Claudia Russo. FOTOGRAFIA Gherardo Rossi.
Drammatico, durata 96 minuti.