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Intervista a Matteo Oleotto, regista di “Zoran, il mio nipote scemo”

mercoledì 4 Settembre, 2013 | di Eleonora Degrassi
Intervista a Matteo Oleotto, regista di “Zoran, il mio nipote scemo”
Festival
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70a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, 28 agosto – 7 settembre 2013, Lido di Venezia

La genesi di un momento di felicità e bellezza
Si percepisce una strana atmosfera nell’osmiza aperta al Lido in onore di Zoran, il mio nipote scemo, film diretto da Matteo Oleotto. È il due settembre, la vigilia del momento più importante, la classica prova del nove per il regista e per la sua squadra. Domani alle 14 verrà proiettato con lui in sala Zoran, il mio nipote scemo, la sua prima opera da regista, unico film italiano al Festival del Cinema di Venezia, nella sezione Settimana Internazionale della critica.

Raccontami l’Odissea di Zoran, come è nato tutto e come vivi questo momento
Il film l’ho seguito fin dall’inizio, paradossalmente ti dirò, girare il film è la parte più facile, tutto ciò che c’è prima è più complicato. Dietro a Zoran ci sono cinque anni di preparazione, arriviamo da molto lontano. Abbiamo sviluppato l’idea in cinque anni appunto, l’ho consegnata a Igor Princic e poi è iniziata l’avventura. E ora siamo felicissimi di essere arrivati fino a qui. È un momento di felicità e bellezza. Non siamo più noi a stare dietro agli altri,mediacritica_zoran_il_mio_nipote_scemo sono gli altri a correrci dietro. Siamo molto felici, adesso vediamo cosa dice il pubblico.
Per chi abita in Friuli vedere Zoran è un po’ come essere a casa. Vino, giochi da privata, gli strani tipi umani che solo nei piccoli paesi troviamo. Si percepisce molta verità nel tuo film, si vede che racconti ciò che conosci bene. Da cosa nasce la tua storia? Dall’immaginazione, da cose che hai visto, persone che hai incontrato?
La cosa su cui mi sono concentrato di più è l’atmosfera, colori, suoni, luoghi. Il mondo di Zoran fa parte di una storia, di storie che conosco bene, non ho inventato niente. Mi sono sempre piaciute le storie, ne sono stato innamorato. Sentirle, raccontarle.
Mi puoi raccontare il tuo background, come sei arrivato al cinema?
Mi è sempre piaciuto il cinema. Mi sono diplomato nel 2005 come regista a Roma, al Centro Sperimentale di Cinematografia e nel 2011 come attore alla Civica Accademia d’Arte Drammatica “Nico Pepe” di Udine. Per me questo è stato il miglior percorso possibile. Poco conosciuto, poco praticato, ma ho voluto partire proprio da lì. Gli attori li amo, li adoro e li rispetto. Amore e attenzione, è questo il sentimento che provo nei confronti dell’attore, da quelli principali a quelli secondari. Penso che anche l’ultimo, quello che passa per un solo istante in scena ha la stessa importanza dei personaggi principali. Sono tutti attori anche quelli secondari.
Hai parlato di amore e attenzione. Si percepisce che hai molto rispetto e stima degli attori con cui hai lavorato, quindi come è stato il rapporto tra te e Giuseppe Battiston?
Prima Giuseppe è stato il mio insegnante; quindi il rapporto era allievo io, insegnante lui. Poi quando io sono andato a stare a Roma, ci siamo risentiti e rifrequentati. Serate, visioni di film, mangiate. Devo dire una cosa, Giuseppe è un attore straordinario, ha dato il valore aggiunto al film. Abbiamo lavorato benissimo insieme: Giuseppe non ha fatto nulla per tirare l’acqua al suo mulino, come si dice, il mulino era il film; ed è una cosa molo rara. Si è speso per il film, non si è mai risparmiato, portando molte idee. Insomma a questo punto posso dire che oltre a essere un attore straordinario, Giuseppe è anche un amico straordinario.
Si nota che ogni personaggio è un piccolo mondo. Come hai scelto i tuoi attori?
Per ogni personaggio avevo scritto dei racconti, sapevo bene cosa stavo cercando. Anche Francesco Celio, Roberto Citran hanno fatto il loro provino, non perché pensavo non fossero all’altezza, anzi, più che altro era per una mia insicurezza. Questo modo di lavorare ce lo insegna il mercato americano, anche Dustin Hoffman e Anthony Hopkins fanno, ancora oggi, i loro provini. Gli attori sono stati tutti molto disponibili. Ho visto più di 400 Zoran. Mentre facevo il film mi continuavano a dire “Non devi sbagliare Zoran”, per me è stata quasi un’ossessione.
Cosa ne pensi del cinema italiano di oggi?
Io sono positivo. Ci sono validissimi registi, validissimi produttori, penso a Bonsembiante che ha lavorato con Andrea Segre anche per Io sono Li, film di due anni fa, che a me è molto piaciuto. Io non sono così negativo, ho molta fiducia nella mia generazione. Questa cosiddetta crisi, secondo me, è servita a svecchiare questo ambiente. Io credo che bisogna partire dalle idee. Io sono stato fortunato a incontrare Igor, perché lui ha una strategia, una progettualità, due parole importantissime in questo campo. Non funziona fare i 100 metri se poi cadi, meglio fare un passo alla volta e continuare a lavorare.
Cosa vuoi dire a tutti quei ragazzi che hanno il tuo stesso sogno?
Ci vuole caparbietà, costanza, non perdere di vista l’obiettivo. Devi lottare per quella fiammella. Il gioco poi, a un certo punto, è mantenere sempre accesa quella fiammella. L’importante è avere delle idee; una buona idea e un lavoro onesto portano da qualche parte, ne sono sicuro. Le idee in un modo o nell’altro pagano. Voglio dire ancora che ho investito molto nella squadra, ho visto da parte di tutti molti atti d’amore, ognuno nel proprio settore. Questo film non è il mio film ma è il film di tutti. Anche tutto quello che c’è qui oggi, è merito di questi ragazzi che si sono fatti il mazzo. Credo che sia fondamentale mettersi insieme a lavorare, credo fortemente nel rimettersi insieme appunto, nel feeling, e così anche nei momenti più duri ci si dà forza a vicenda. Mi chiedevo quando tornavo a casa dalla mia compagna: “Chissà se si vedrà quanto siamo stati bene”, io credo di sì.

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