SPECIALE 70a MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA
Rosario della violenza
Un giovane poliziotto nella Germania di provincia, sua moglie, e la loro piccola bambina. Episodi frammentari e contratti di un’apparentemente serena vita familiare, composta come un mosaico di gesti minimi, insufficienti a completare un organico quadro narrativo, ritratti tuttavia con raggelata necessità, come a suggerirci che il senso delle cose, la verità degli eventi, risiede in ciò che anche al cinema pensiamo anonimo o addirittura invisibile.
Cinquantanove esili capitoli, con rigorosa indicazione di inizio e fine, formano questo rosario cinematografico dove non tutti i grani sono immediatamente accessibili alla comprensione, ma su ogni momento grava incombente l’ombra della violenza familiare, perpetuata dall’uomo ai danni della moglie. Così, quando l’orrore si fa visibile e si dipanano le dinamiche psicologiche tipiche di molta cronaca nera, il pubblico non ha mai la sensazione di trovarsi di fronte alla crudeltà di certo realismo, ma di affacciarsi più direttamente sulla soglia metafisica del male. Philip Gröning, noto al pubblico per il film Il grande silenzio e anche in questo caso operatore alla macchina da presa (un dettaglio importante), non rinuncia a un approccio documentaristico della messinscena, ma lo piega a una ben riconoscibile tensione astratta, in cui riflessione fondamentale diventa la relazione dei personaggi con il paesaggio, con il corpo e l’odore degli altri (vivi e morti), con gli animali che abitano i boschi vicino casa o strisciano nelle aiuole del giardino, con gli stessi oggetti che occupano le stanze dell’appartamento e sembrano acquisire, o perfino superare, le proporzioni umane. Totalmente privato di molti appigli tradizionali, primo fra tutti il commento musicale, lo spettatore si vede consegnare il compito di colmare il vuoto che separa ogni capitolo, ricostruire la vicenda e forse interpretarne i molti possibili finali (una morte? Due morti? Un sogno?). Improvvisa e di incerta codificazione, una manciata di capitoli ritrae infine un uomo anziano, orrendamente solo: forse lo stesso protagonista molti anni dopo, oppure suo padre? Difficile capire. The Police Officer’s Wife è un film controverso, a tratti programmatico, e per certi aspetti ricorda la risposta europea all’affresco familiare di The Tree of Life: colpisce per le soluzioni visive che ne costellano i capitoli più incisivi e la libertà concessa allo sguardo di fronte a temi così universali, e spesso abusati, come l’amore e la violenza che nutrendosi vicendevolmente abitano la famiglia.
The Police Officer’s Wife [Die Frau des Polizisten, Germania 2013] REGIA Philip Gröning.
CAST Alexandra Finder, David Zimmerschied, Pia Kleemann.
SCENEGGIATURA Philip Gröning. FOTOGRAFIA Philip Gröning.
Drammatico, durata 175 minuti.