SPECIALE 70a MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA
Il significato della rivoluzione di LaBruce
Non c’è cosa più disturbante e politicamente scorretta di mostrare la relazione fra un giovane ed un anziano. Non trattandosi di qualcosa di illegale, il limite del rifiuto si sposta dall’umano al sociale, dalla natura alla polis.
Lake (interpretato da Pier-Gabriel Lajoie) non sceglie di innamorarsi di uno dei pazienti della casa di cura in cui lavora, il signor Peabody (l’attore teatrale Walter Borden), semplicemente accetta un istinto per molti versi rivoluzionario. La rivoluzione attraverso la rivoluzione sessuale, la formula che Bruce LaBruce promulga dai suoi esordi e che trova piena affermazione nell’eccessivo The Raspberry Reich, prende qui i toni di una storia giovanile alla Gus Van Sant, molto meno disturbante, quasi sospeso per non ferire gli sguardi vergini. Anche la regia segue questo stesso filo, più patinata e curata, con musiche originali e slow motion che elevano l’estasi di alcuni momenti topici, a dimostrazione che oltre ad essere un grande provocatore, LaBruce è prima di tutto un regista di tutto rispetto. Chi si aspettava l’ennesimo affronto alla morale comune, l’ennesima prova di sopportazione per uno spettatore che sempre si domanda dove finisca il limite della pornografia e dove cominci l’autorialità, dovrà rassegnarsi ad un film più classico, più misurato se questi aggettivi mai si addiranno al regista canadese. Rassegnazione che, una volta compiuta, sposterà l’attenzione sui contenuti più che sulle immagini: sulla difficoltà da parte del giovane di esporsi al mondo che lo ritiene un mostro, un deviato, sul giudizio che persone peggiori di lui, su tutte il collega dell’ospizio, si permettono di formulare, distruggendo il sentimento e riducendo tutto a pura perversione. Ma il sentimento c’è, come afferma lo stesso protagonista verso la fine del film al vecchio compagno che riposa accanto a lui in una stanza di motel: “non credo sia solo questione di sesso, penso di essermi innamorato di te”. È questo che disturba, la constatazione della deviazione più che la sua rappresentazione sotto forma di scene hard, qui totalmente assenti se non per brevi flash. LaBruce ha spostato la sua rivoluzione dal significante al significato, dal contenitore al contenuto, attraverso una storia già raccontata mille volte (in molti l’hanno paragonata a Harold e Maude senza capire che quello è un film sull’olocausto e non su di una relazione proibita), ma probabilmente mai con questa attenzione, con questa leggerezza necessaria e propria di chi sa di cosa sta parlando, evitando così di tendere verso l’universale per sprofondare nel banale come accaduto, a mio avviso, a Haneke in Amour.
Gerontophilia [id., Canada 2013] REGIA Bruce LaBruce.
CAST Walter Borden, Pierre-Gabriel Lajole, Katie Boland, Hélène Tribault.
SCENEGGIATURA Bruce LaBruce, Daniel Allen Cox. FOTOGRAFIA Nicholas Canniccioni. MUSICHE Ramachandra Borcar.
Drammatico, durata 85 minuti.