Rieccoci a Venezia. Dopo la sbornia estiva dei tanti (ottimi) piccoli festival che punteggiano l’Italia e un Locarno molto particolare e molto cinefilo, grazie alla direzione di Carlo Chatrian, con la Mostra del Cinema riparte la stagione. Le similitudini con il campionato di calcio sono numerose.
Impossibile vincere la Champions League dei festival, troppo forti Cannes e Toronto, troppo emergenti Pusan e altre ricche kermesse, non rimane che avere coraggio e puntare sulla qualità. Troppo presto, al momento, per dire se Venezia ce l’avrà fatta, senza i grandi nomi di registi, a scoprire talenti,
a individuare un cinema vivace e con qualcosa da dire, e a mostrare le doti di uno sport (calcio o cinema, fate voi) dove, pur senza i milioni degli sceicchi, si parla il DNA dell’arte. Tuttavia, sulla carta ci è capitato raramente di avvicinarci a un festival senza sapere quasi nulla di almeno il 50% dei film in concorso, e di scartabellare sul web per comprendere che tipo di pellicole ci troveremo davanti. Inoltre, dopo tanto chiacchierare di documentario, ecco che Venezia mette in concorso Rosi e Morris, un segnale concreto, non simbolico, che rivoluziona un assurdo pre-concetto fin qui mantenuto (niente doc in gara). Inoltre non sembrano (ma vedremo) esserci gravi errori o cedimenti come Un giorno speciale del 2012.
Ora il problema è un altro. Come far sì che Venezia torni a incidere come un tempo sull’industria cinematografica nel suo complesso, a pesare sugli incassi futuri, a dimostrarsi il volano che per anni non è più stato? Si tratta con tutta probabilità di una chimera. I festival non sono chiamati a fare questo, anzi di solito quando si è cercato di posizionare Venezia a freddo in una condizione di moltiplicatore della visibilità, si è visto il peggio del peggio. I festival riacquisiscono un peso nel momento in cui si dimostrano autorevoli. Non c’è scorciatoia o clientela che tenga. Non c’è favore o prebenda che funzioni. Non c’è Rai o Medusa che possa ottenere con la prepotenza quel che dovrebbe garantire la qualità. Ecco perché l’edizione 2013 sembra partire col piede giusto: non si annusa aria di compromesso anticipato. A parlare saranno i film, e solo con quelli – e con le invisibili tracce sotterranee di un vero e proprio “discorso” del festival – Venezia tornerà all’eccellenza che le compete. L’industria reagirà, forse, di conseguenza. E per comprendere se sarà un festival di qualità, toccherà ancora una volta alla critica e alla cinefilia fungere da “watchdog”, cane da guardia giornalistico e interpretativo, luogo di elaborazione del gusto che, se si escludono le testate ormai più conservatrici, gode tutto sommato di buona salute.