SPECIALE MARTIN SCORSESE, II PARTE
Questi fantasmi
Il primo quarto d’ora è da fiato mozzato: dalle viscere della terra, rombante di tamburi ancestrali e di fuochi primigeni, estrae una tribù di Miserabili e ne allunga le ombre sui muri, filtrandola con le luci delle leggende d’infanzia. Poi, il giorno accecante di un cielo grigio, i colori crudeli delle stelle e delle strisce che feriscono vividi la terra macchiata di neve, e di sangue.
Gangs of New York si trascina dietro, fin dalla sua uscita, la delusione della critica che, dopo mesi d’aspettative gonfiate, si è divisa tra il “capolavoro mancato”, il “film non riuscito” e “Martin è bollito”. Sì, Gangs of New York è un film squilibrato e debordante, ribolle incontenibile di materia lavica, scivola via dalle mani del suo creatore, il quale, a controllarlo, ha interesse solo fino a un certo punto. La forma del mito non è ordinata, misurata, perfetta. L’obiettivo di Scorsese, programmaticamente esibito nella didascalica (ma non per questo meno efficace) sequenza conclusiva, è quello di scavare nelle radici di un Paese che si finge puro sopra un cuore marcio, che un decennio dopo l’altro si ricostruisce la verginità senza vergogna, imbellettando uno skyline da cartolina. Quasi speculare a L’età dell’innocenza (quello, sì, un capolavoro), Gangs of New York esibisce le lacerazioni della carne, insiste sulla violenza hobbesiana del proletariato senza prospettive, riflettendo in immagini cruente la ferocia borghese che decapitava Newland Archer e la contessa Olenska. A Scorsese interessano i dettagli storici (stralci di giornale, manifesti, costumi) e di questi ingombra l’inquadratura, per poi trasfigurare ogni realismo con la visionarietà evocativa della messa in scena, dei movimenti di macchina, del montaggio, della fotografia grafica (e dei riferimenti letterari e figurativi). Quasi volesse estrarre questi fantasmi americani dall’oblio e, invece di affidarli alla storia, consegnarli direttamente all’immaginario (all’epica?) collettivo. L’intreccio principale è un pretesto per lo sfondo, ma che pretesto: una saga shakespeariana di un orfano senza padre e un re senza figli, due poli opposti che si attraggono irrimediabilmente perché non sono espressioni manichee, ma lati della stessa medaglia. L’impressionante performance di Daniel Day Lewis incarna l’irresistibile fascino della sopraffazione, l’ottimo (checché se ne dica) DiCaprio è un antieroe titubante, il parricidio finale (soffocato dalla nebbia, dalla polvere, dalla guerra) ha l’inevitabilità della tragedia e del destino. “È una ferita”: purulenta, insanabile, ancora lontana dal diventare cicatrice.
Gangs of New York [id., USA/Italia 2002] REGIA Martin Scorsese.
CAST Leonardo DiCaprio, Daniel Day Lewis, Cameron Diaz, Jim Broadbent, Brendan Gleeson.
SCENEGGIATURA Jay Cocks, Steven Zaillian, Kenneth Lonergan. FOTOGRAFIA Michael Ballhaus. MUSICHE Howard Shore.
Storico/Drammatico, durata 167 minuti.