SPECIALE MARTIN SCORSESE
L’arte della dissimulazione
Basato sull’omonimo (nella versione originale) romanzo di Dennis Lehane, Shutter Island racconta la storia della perdita di un’identità, risultato delle influenze alternate di inganni e accondiscendenze. La dissimulazione che Scorsese porta in scena amplifica e raddoppia (anzi, triplica) i livelli di quella descritta nel libro originale.
Il personaggio di DiCaprio si confronta con un vortice di specchi che riflettono e deformano la sua immagine, in modo tale da portare dubbi e confusione anche negli sguardi degli spettatori. Se nel libro questa dialettica ambivalente si risolve nel rapporto di Teddy Daniels con se stesso e di lui con gli agenti/operatori sanitari circostanti, nel film il regista ne offre una lettura ulteriormente arricchita. L’ambivalenza delle conclusioni da trarre, per non parlare di vera e propria ambiguità, crea un altro livello di dissimulazione: quello tra i protagonisti sullo schermo e gli spettatori fuori da esso. Scorsese infatti accentua gli elementi di straniamento e vaghezza presenti nel libro e li enfatizza, dando così agli spettatori una narrazione tanto scorrevole quanto rarefatta. Non si può parlare di film da vedere “a ritroso”, ma certo si possono indicare alcune sequenze cardine in cui le svolte narrative fanno piegare (e distorcere) le percezioni, senza però provocare uno spaesamento tale da distrarre lo spettatore dal film stesso. Che si tratti del rientro dopo la fuga, dei dialoghi con gli altri pazienti o della rivelazione finale (senza dubbio meno raffinata delle aspettative), il vortice psicologico che circonda il protagonista finisce per avvolgere anche il pubblico. Per molti versi, insomma, potrebbe sembrare un’opera lontana dalle strade urbane torride e malavitose entro cui si muovono i personaggi italoamericani più celebri dell’universo di Scorsese. Questa diventa quindi l’occasione per prendere le distanze da quel mondo cittadino e farraginoso (come già inizia a fare con The Departed) e sfuggire così al pericolo della stigmatizzazione. Shutter Island offre una dimostrazione di metodo, utile a leggere il cinema (anche quello dello stesso Scorsese) e la letteratura forse in modo troppo sfacciato, ma sicuramente efficace. E ciò avviene sfruttando un universo di codici e diegesi diverso dal solito, che ruota intorno alla violenza psicologica prima che a quella fisica e intorno alla fede nella razionalità e nell’umanità prima che alla fede religiosa.
Shutter Island [Id., USA 2010] REGIA Martin Scorsese.
CAST Leonardo DiCaprio, Mark Ruffalo, Ben Kingsley, Michelle Williams, Max Von Sydow.
SCENEGGIATURA Laeta Kalogridis (tratta romanzo L’isola della paura di Dennis Lehane). FOTOGRAFIA Robert Richardson. MUSICHE Robbie Robertson.
Thriller/Noir, durata 138 minuti.