Il male di vivere
Corviale, periferia di Roma. Palazzoni di cemento si estendono per un chilometro, offuscano il cielo e risucchiano l’aria. Simboli materiali di un sogno edilizio trasformatisi in incubo ambientale, gli edifici grigi del “Serpentone” – questo il soprannome della borgata – comprimono le esistenze degli uomini e delle donne che li abitano, innalzando il senso di oppressione e immobilità della loro struttura a metafora di alienazione e sconfitta.
Non è un luogo per i sogni. Non è una terra per il riscatto. Lo sa bene Marco, appena uscito di prigione, famiglia disastrata e solo con la sua volontà di ricominciare da una vita pulita come sostegno. Durerà poco: violenza e sensi di colpa ne spazzeranno via ogni anelito di cambiamento. Se ne renderà presto conto Sonia, bellezza e speranza della gioventù stuprate nel trauma abominevole della violazione intima. Lo capiranno invece tardi Faustino, Nigger e Federico, vite a perdere nella desolazione di baratri affettivi e vuoti emotivi, attuazioni compiute di quel destino subìto che è il fil rouge di storie cupe come una vicenda noir e, allo stesso tempo, essenziali nel realismo ricercato della rappresentazione. Verosimiglianza in Et in terra pax significa stasi, fissità: la frenesia verbale e fisica dei personaggi – quel continuo parlarsi addosso, il girovagare senza meta solo per percepire il tempo tra una sniffata e l’altra – è movimento apparente, sordida reiterazione di uno “schema della sopravvivenza” nel quale disillusi miserabili sono manovrati come pedine inconsapevoli, corpi/ingranaggi di un meccanismo inconoscibile e assurdo. Tanto più piccoli e annientati da un ambiente che li soverchia, li schiaccia, soffocandone lo sguardo su una qualsiasi prospettiva di alterità, esasperandone rabbia e frustrazioni. Lavorano sullo spazio i registi romani Botrugno e Coluccini, ne fanno la dimensione metaforica della narrazione, la prospettiva dalla quale osservare individui che si (auto)distruggono: mdp letteralmente addosso ai personaggi a enfatizzare uno status di piattezza esistenziale che getta tutti nel medesimo tritacarne disumano. Ma mai totalmente disumanizzante, almeno dal punto di vista di chi guarda. L’anima dell’opera resta in bilico tra la ferocia della realtà e la sua rivisitazione lirica, strategia formale, quest’ultima, di cura del fuori campo e scelta della colonna sonora che si sviluppa nella direzione opposta al compiacimento e al giudizio facile. Cose orribili accadono nei mondi “oltre i bordi” eppure, se la visione di un altrove di salvezza è sistematicamente negata, l’irruenza tragica – a contrasto – della musica è, pasolinianamente, luce che riscalda i contorni delle cose e «sfonda le immagini piatte dello schermo»: struggente promessa (illusione?) di pace tra le macerie dell’inferno.
Et in terra pax [Italia 2010] REGIA Matteo Botrugno, Daniele Coluccini.
CAST Maurizio Tesei, Unghetta D’Onorascenzo, Michele Botrugno, Fabio Gomiero, Germano Gentile.
SCENEGGIATURA M. Botrugno, D. Coluccini, Andrea Esposito. FOTOGRAFIA Davide Manca. MUSICHE Alessandro Marcello.
Drammatico, durata 89 minuti.