L’uomo che visse due volte
Arrivati alla sesta stagione sappiamo bene che il protagonista assoluto di Mad Men è Don Draper, e che la serie è la disamina di chi sia realmente e cosa vada cercando un uomo che ha già vissuto un paio di volte.
La sesta stagione si veste in parte di nuovo, in linea con l’ambientazione: è il 1968, irrompono barbe e basette e i luoghi di lavoro si aprono all’anticonformismo, come dimostrano le abitudini lavorative del team creativo. Tra le rivoluzioni strutturali importanti si annovera la creazione della super agenzia nata dalla fusione della SCDP con la Cutler, Gleason and Chaugh di Ted, che ri-intrappola Peggy all’ombra ingombrante di Don Draper. Se uno dei temi della stagione precedente era il diffuso senso di insciurezza e di violazione privata, espresso da casi di cronaca nera e errori personali pagati cari, in questa i traumi storici fanno da violento contraltare al proliferare di stati allucinatori e sequenze oniriche che segnano lo “spirito del tempo” (l’assurda 6×08, “The Crash”). Mai come in questa stagione Weiner e soci si sono divertiti a disseminare indizi e presagi di morte: così il Web è esploso di congetture sulla maglietta di Megan-Sharon Tate, sull’intrusa a casa Draper, sui vari segnali di un potenziale suicidio di Don (compreso l’esplicito faccia a faccia di Don con la propria morte nella perturbante immagine della piscina in 6×10, “A Tale of Two Cities”), solo per distrarci dalla composizione di un puzzle molto più complesso di significati. La morte di Martin Luther King e di Bobby Kennedy, le rivolte degli afro-americani, la guerra in Vietnam e le dimostrazioni pacifiste represse nel sangue sono eventi di dimensioni troppo vaste per essere ignorati persino da uno come Draper: rimangono a incombere sullo sfondo come le onnipresenti sirene che solcano New York, che paiono mettere in guardia i personaggi dall’instablità delle proprie certezze. Don Draper si attorciglia sempre di più su se stesso, inciampando anche sul lavoro, ricadendo nei vizi di sempre (il tradimento), senza ricavarne soddisfazione né sollievo da alcuna responsabilità – ma l’hanno mai fatto? Due momenti segnano una deviazione di Don dalle sue abitudini di fuga e, più che i flashback un po’ troppo didascalici per gli standard di Mad Men, la sua sovrapposizione con Dick Whitman: l’insolitamente toccante riflessione detta a Megan sul rapporto tra padri e figli che chiude la 6×05, “The Flood”, e la straziante presentazione del finale, 6×13 “In Care Of”, confidenza che potrebbe essere falsa ma che è talmente fuori luogo da essere probabilmente vera, che dà il via a un finale in cui alla letterale sconfitta del protagonista corrisponde uno strano senso di pacificazione. Per arrivarci Don si è reso responsabile dell’intollerabile delusione inferta a Sally, di meschinità egoistiche nei confronti di Peggy, di leggerezze che hanno ferito Joan, e Ted, e Megan: tenterà di risarcire alcune e lascerà degenerare altre. Intorno a lui, tutti cercano di raggiungere qualcosa: più fama (Megan) o il riconoscimento delle proprie capacità (Joan) o il miraggio di una ricomposizione di qualcosa che si è perso (Los Angeles diventa il luogo della “vita nuova”); e scopriamo che il modello identitario Draper è imitabile (e che Bob Benson è uno dei personaggi più geniali dell’intera serie). Il finale di stagione è perfetto, e ci lascia con uno strano senso di calma che è probabilmente lo stato d’animo più giusto per attendere la stagione conclusiva che si preannuncia, comunque vada, epocale.
Mad Men [Id., USA 2007] IDEATORE Matthew Weiner.
CAST Jon Hamm, Elisabeth Moss, January Jones, John Slattery, Jessica Paré, Vincent Kartheiser, Christina Hendricks.
Drama, durata 45 minuti (episodio).