Ha ancora senso parlare di critica, se un tweet di un opinion leader ha più re-azioni di un saggio circostanziato? Nel cinema, ma non solo, l’approfondimento è ormai una questione 2.0 in cui un’opinione tira l’altra. Ma allora perché non stiamo rinnovando il nostro linguaggio?
Come diceva giustamente Michele Galardini nel suo editoriale Se questo è un critico della scorsa settimana, il recensore contemporaneo è un opinion maker che mette in circolo idee per trovare un pubblico a suo agio con quella visione del mondo, per confronto o per affinità. Eppure continuiamo a scrivere scrivere scrivere su un media dove il testo è solo uno dei linguaggi a disposizione. Agli albori del web 1.0 non si poteva fare molto altro, ma anche oggi l’espressione critica non sembra essersi evoluta e, a parte alcuni timidi tentativi, sembra che la parola scritta sia l’unico media capace di utilizzare. Eppure cinema, televisione, l’audiovisivo tutto, sono cambiati profondamente. La pellicola è in via d’estinzione (e qui non si esprimerà un’opinione in merito), nuove forme di distribuzione prolificano fuori dalla sala e dentro l’home video, ma la critica no. La critica fatica a trovare nuove forme di comunicazione: la videorecensione è quasi sempre un testo parlato, Facebook è visto come cazzeggio, Twitter è usato come fonte dai giornalisti e come esercizio di stile dagli scrittori, la grafica sostanzialmente inesistente. Alberto Pezzotta, nel suo fondamentale saggio La critica cinematografica (Carocci, 2007) esalta lo stile della scrittura come attrezzo principe del mestiere, il più importante, quello che motiva alla lettura. Verissimo. Eppure oggi, con la carta in via d’estinzione (e qui non si esprimerà un’opinione in merito), non riusciamo a trasformare la stilografica in una penna 2.0.
A parziale giustificazione, trattasi di un lavoro estremamente difficile. I sistemi informativi si evolvono più lentamente dei new media, senza contare che spesso manca una vera retribuzione del mestiere di critico (e qui, a fatica, non si esprimerà un’opinione in merito). Per non parlare dei processi cognitivi umani, sviluppatisi sul racconto orale e la scrittura, fin dagli antichi assiri. Difficile scalfirli, anche se stiamo tornando a una comunicazione più iconica e diversificata, proveniente da più fonti che ci bombardano con opinioni via testo, audio, video, grafica, immagini e pure numeri. Quasi volessimo tornare a dipingere nelle caverne, ma questa volta con lavagne digitali e gessetti interattivi. Qui non si esprimerà un’opinione in merito, anche perché ormai si tratta di un dato di fatto con cui fare i conti. Ma ci chiediamo: sopravvivrà la critica se non trova una nuova forma di espressione con cui cavalcare i media?
N.B.: va da sé che questo testo avrebbe potuto essere sostituito da una infografica.