Il Cinema Ritrovato, XXVII Edizione, 29 giugno – 6 luglio 2013, Bologna
Dal passato con furore
Onirico e allucinato, Lettre à la prison è il film autofinanziato che Marc Scialom, perseguitato in Tunisia prima come ebreo, poi come italiano, infine come francese, ha girato a Marsiglia nel 1969, in bianco e nero, e, con l’aiuto della moglie, ha montato clandestinamente, nel 1970, con grande povertà di mezzi, tra cui una cinepresa 16mm che non registrava il sonoro, prestatagli dall’amico Chris Marker.
Marker è stato, indirettamente, il responsabile della lunga interruzione, per eccesso di autocritica, della carriera del perfezionista Scialom, in seguito divenuto scrittore e professore universitario, nonché traduttore di Dante e Boccaccio. A Marker il film di Scialom, che era iscritto al Partito Comunista francese, non piacque, perché lo considerava troppo soggettivo e quindi poco politico, per gli standard del cinema militante sessantottino. Se non fosse stato per la figlia di Scialom, Chloé, che, disubbidendo al padre, ha salvato una copia del film durante un trasloco, e l’ha mostrata ai soci di Film Flamme, i finanziatori del restauro ad opera de L’immagine ritrovata, non saremmo qui a scriverne. E, probabilmente, non avremmo mai assistito al ritorno al cinema di Scialom. In realtà, contrariamente al parere di Marker, Lettre à la prison è sorprendente ed efficace, anche nella denuncia politica della condizione di disagio di chi è costretto a lasciare la propria terra, soprattutto se si tiene conto che i dialoghi sono stati registrati a Parigi senza avere le immagini del girato davanti agli occhi e i suoni sono stati scelti tra gli scarti della sala di montaggio. Questa accidentale mancanza di sincronia, insieme alla voluta destrutturazione del linguaggio filmico, di ispirazione avanguardistica, riflettono perfettamente, nella forma, l’atipicità, l’essere fuori posto, che fanno parte del vissuto degli esuli, come Scialom, emigrato in Francia in gioventù, e il suo protagonista Tahar. Nel film, il ventiquattrenne sbarca a Marsiglia da Tunisi, con la nave Avenir, sulle tracce del fratello maggiore, imprigionato a Parigi perché accusato di aver ammazzato Blanche, una donna francese. La voce fuori campo di Tahar e, in minor misura, quella di suo fratello commentano continuamente le immagini misteriose e affascinanti del film, a volte davvero criptiche, giustapposte, in fase di montaggio, senza una vera sceneggiatura, con la libertà del metodo di lavoro tipico dei documentaristi, tra jump cut e scene ripetute, primissimi piani e dettagli, sospiri e esplosioni di violenza. Il colore compare solo nella parte finale, nei flashback, in cui Scialom ha riutilizzato sequenze di un suo film precedente, En silence (1957). L’innesto trova una sua giustificazione artistica, proprio come le altre scelte obbligate. È proprio questo il grande talento di Scialom, cineasta della mancanza.
Lettre à la prison [Id., Francia/Tunisia 1969-1970] REGIA Marc Scialom.
CAST Tahar Aïbi, Marie-Christine Lefort, Martine Biérent, Romdane Mansour.
SCENEGGIATURA Marc Scialom. FOTOGRAFIA Marc Scialom. MUSICHE Matar Mohamed, Mohamed Saada.
Sperimentale, durata 75 minuti.