SPECIALE NUOVI ZOMBI, II PARTE
Imitation of (no) Life
Gli Stati Uniti sono invasi da temibili zombi, cadaveri che per motivi poco chiari tornano in vita con impulsi cannibaleschi. Un gruppo di persone cerca di resistere e si barrica in un centro commerciale, luogo in cui si svolge gran parte dell’azione.
L’allegoria, valida trent’anni fa grazie a Mister George A. Romero, regge anche ai giorni nostri: L’alba dei morti viventi punta il dito contro l’umanità intera, rea di immonde atrocità e inquietanti cattiverie, ottusa nelle sue convinzioni e nel tentativo di omologazione anche verso chi ha aperto gli occhi al mondo. Tutto ciò che riguarda forme di vita “alternative” superando i confini della razionalità (zombi, vampiri, ufo) stuzzica la nostra sensibilità e crea tensione, fin qui non v’è dubbio. Ma al di là di questo ben presto ci si accorge che alla violenza, ai mostri e ai racconti orripilanti siamo tutti ormai assuefatti e che un rifacimento pedissequo di un successo non vuol dire di nuovo successo. Anche ai remake servono originalità ed innovazione. Il genio di Romero mescola(va) visionarietà, iperrealismo, grottesco, oltre ad una sempre più dichiarata critica socio-culturale. Una copia non può produrre lo stesso effetto, e anche se l’intento è rendere omaggio ad un grande maestro, praticare la via dell’imitazione virtuosa è fin troppo facile. Facile ma non condannabile, nel caso di un genere dalle connotazioni “obbligate” che concede minime variazioni. Naturalmente a questo punto un’eccezione non può far altro che confermare la regola, e la memoria non può non tornare ad un’opera ampiamente più significativa, di poco precedente: 28 giorni dopo di Danny Boyle. Il soggetto è più o meno lo stesso, con un’epidemia che decima la popolazione e i superstiti che cercano un rifugio sicuro. Ma in quel caso la mano del regista si sente: i “mostri” non sono morti viventi sbucati dal nulla, ma persone contagiate da un virus permanente di rabbia, trasmessa da scimmie evase da un laboratorio; al clima apocalittico viene dato nuovo risalto, con le suggestive inquadrature di una Londra deserta vista con gli occhi del protagonista; al significato originario si aggiunge una nuova sorprendente polemica antimilitarista e anche il finale si discosta da un irrimediabile pessimismo imperante. In sostanza, il film di Boyle non ragiona per accumulazione, e sostituisce alla “quantità” la “qualità” delle scene descritte. Anche se all’epoca l’esordio di Zack Snyder venne salutato come un fulmine a ciel sereno – di solito citando il parto zombi e il piglio da centometristi dei non morti – a distanza di quasi dieci anni e di decine di altri film basati sul franchise zombesco l’evidenza dei fatti prende sempre più forma: L’alba dei morti viventi è un buon esercizio di stile, e nulla più.
L’alba dei morti viventi [Dawn of the Dead, USA 2004] REGIA Zack Snyder.
CAST Jake Weber, Sarah Polley, Ving Rhames, Mekhi Phifer.
SCENEGGIATURA James Gunn. FOTOGRAFIA Matthew F. Leonetti. MUSICHE Tyler Bates.
Horror, durata 104 minuti.