SPECIALE NUOVI ZOMBI
L’importante (non) è finire
“Viviamo in un mondo i cui i mostri esistono”, lo sappiamo bene. Chi di noi non ne ha incontrato uno? Ci camminano accanto, buttandoci addosso difetti e diversità, che alcuni mostrano con orgoglio, altri nascondono, altri ancora vivono con fragilità e sensi di colpa la loro stessa natura. Il resto del mondo si divide tra chi accetta e chi per ignoranza odia.
Nella miniserie In the Flesh, ideata da Dominic Mitchell e trasmessa dalla BBC Three, viene narrativizzato tutto questo, metaforizzando la paura del diverso attraverso il topos dello zombie. Sono passati quattro anni da quando i morti sono risorti e il governo a poco a poco inizia a reintegrarli nella società. La storia inizia là dove tutti gli altri film finiscono. Nessuna guerra all’ultimo sangue, nessun acerrimo nemico da distruggere, solo il trattamento dei “malati” e il loro reinserimento nella società. Al centro i non-morti affetti da “morte parziale”, per salvarli e salvarci solo il trattamento. In un ospedale, lager e manicomio insieme, incontriamo Kieren Walker, diciassettenne suicida per disperazione, traghettatore delle anime (nostre) nel mondo della “carne”. Lui è pronto a tornare a casa: cerone, lenti a contatto, kit di sopravvivenza e strumenti per far dimenticare ciò che egli è a coloro che lo temono. Basta così poco per nascondere ciò che non è la norma? Rientrato in famiglia, si scontra con la realtà: non tutti accettano lui e quelli come lui, neppure sua sorella Jem – che fa parte della HVF, milizia volontaria che in passato ha combattuto contro quei terribili mostri, sembra felice del ritorno. Kieren è a metà del percorso, lo comprendiamo quando incontriamo Amy e Rick, portatori della stessa “malattia”. La prima, sfrontata e ironica, si mostra in tutta la sua natura: alla ricerca di amara integrazione, toglie le lenti a contatto, non trucca il pallido volto, mostra le “ferite” che l’hanno portata alla morte; il secondo, invece, amico di Kieren, deceduto in Afghanistan, rifiuta sé come del resto fa suo padre Bill, intransigente e folle negazionista. In the Flesh, commovente e tragico, ha un solo difetto: dura poco. Non c’è spazio per l’affezione, perchè, nel momento stesso in cui avviene, è tutto già finito. Non c’è tempo per sviluppare a fondo le tematiche, per capire come si scioglieranno alcuni nodi, chè oramai sono già sciolti. È un peccato perchè questa serie è ben fatta, i protagonisti sono ben inquadrati, te ne innamori e i loro conflitti diventano un po’ anche i tuoi: Kieren è tenero, delicato, ci mostra le sue paure – la vita fuori dai muri bianchi dell’ospedale, i suoi ricordi – lo vediamo cibarsi di altri esseri umani, i sentimenti per Rick – struggenti e toccanti i loro dialoghi, l’intensa amicizia con Amy – così forte e sicura che un posto per lei nel mondo esista. Non-morti unitevi, aspettiamo la seconda stagione.
In the Flesh [Id., Gran Bretagna 2013] IDEATORE Dominic Mitchell.
CAST Luke Newberry, David Walmsley, Harriet Cains, Emily Bevan, Steve Evets, Kenneth Kranham.
Horror drama, durata 56 min (episodio), stagione 1.