SPECIALE APOCALISSE AL CINEMA
London’s burning
Figura unica, fondamentale nel cinema italiano di tutti i tempi e sperimentatore privo di eredi, Marco Ferreri ne Il seme dell’uomo, a torto non tra i suoi film più celebrati, si scaglia con la consueta lucidità contro la società dei consumi, che già nel 1969 rende l’umanità una specie ridicola, destinata a finire male. Proprio come succede nel film, davvero apocalittico e senza speranza, e allo stesso tempo potente e rabbioso come pochi.
Il seme dell’uomo trae la sua efficacia dal distacco tra la ferocia del contenuto, dell’impostazione ideologica distopica, e la messa in scena rigorosa e priva di orpelli, o estetismi. Si viene a determinare, così, grazie alle inquadrature fisse, ai limitati movimenti di macchina, una sorta di straniamento che favorisce l’intento allegorico, pur nell’ambiguità delle immagini, spesso di significato oscuro e perciò lontane dall’essere didascaliche come quelle dei film a tesi, invece. Colpisce, quindi, l’abilità di Ferreri e dei suoi collaboratori, tra cui va citato almeno l’abituale Mario Vulpiani alla fotografia, di rappresentare nei dettagli, nei silenzi rotti soltanto dal rumore del vento e del mare, nei gesti più banali e ordinari, la vita e la morte. Con una naturalezza che è la stessa riscontrabile in Dillinger è morto, non a caso scritto dallo stesso Bazzini. Una forma analoga di cinema della modernità, di narrazione volutamente debole, fatta di personaggi antieroici e sfuggenti, come quelli di Antonioni. Cino e Dora sono figure inafferrabili, troppo complesse o vuote a seconda dei punti di vista, in ogni caso giudicabili solo nei lampi di brutalità animalesca che ne interrompono la ripetitività del comportamento (vedi l’omicidio commesso dalla ragazza e il cannibalismo, poi ripreso da Ferreri ne La carne) e provocano un cambiamento di tono nella seconda parte, decisamente più cupa e, inoltre, priva di canzoni. Catapultati – senza la necessità di eccedere in effetti speciali e senza troppe spiegazioni – in un futuro imprecisato, dove le pestilenze hanno decimato la popolazione e l’unico rimedio per la sopravvivenza degli esseri umani sono una coppia di giovani, novelli Adamo ed Eva, con tanto di serpente tentatore a dividerli (la parte breve, ma intensa, di Annie Girardot), possiamo solo sperare che la profezia di Ferreri non si avveri. Nel frattempo, meglio restare all’erta…
Il seme dell’uomo [Id., Italia/Francia 1969] REGIA Marco Ferreri.
CAST Marco Margine, Anne Wiazemsky, Annie Girardot, Rada Rassimov.
SCENEGGIATURA Sergio Bazzini, Marco Ferreri. FOTOGRAFIA Mario Vulpiani. MUSICHE Teo Usuelli, Richard Teitelbaum.
Drammatico/Fantascienza, durata 113 minuti.