66° FESTIVAL DI CANNES – PRIX DE LA MISE EN SCENE: AMAT ESCALANTE
Racconto di brutale formazione
C’è una regola non scritta, nel cinema mainstream, che vieta di ammazzare i cani. Puoi far morire chi vuoi, sul grande schermo, donne vecchi e bambini, ma non i cagnolini: quella è una soglia invalicabile.
Su questo è costruito tutto un subplot dell’ultimo bel film in cui ha recitato Robert DeNiro, Disastro a Hollywood, dove un regista emergente si ostina contro il parere del suo agente a portare a Cannes una pellicola che si chiude con una pallottola rivolta al cane. Se non fosse che il giovane messicano Amat Escalante poco somiglia al nevrotico autore del film nel film in questione, ci piacerebbe immaginare, sommessamente disperato in sala, il suo agente nel sentire la reazione del pubblico inorridito di fronte all’uccisione di un microscopico e tenerissimo cagnetto bianco. Quello, a dire il vero, è solo l’antipasto della violenza che Heli, vincitore del premio per la migliore regia a Cannes 2013, riserva allo spettatore: fino a quel momento, la pellicola aveva descritto la routine, fatta di duro lavoro e amori maldestri, di una famiglia “allargata”. Heli vive con sua moglie e il bimbo di pochi mesi, con loro ci sono anche suo padre e la sua sorellina Estela, ancora una ragazzina con le calze al ginocchio e i compiti a casa, ma già innamorata di un ragazzo più grande di lei. La loro relazione è quasi platonica e permeata di un’innocenza buffa: i due sognano di sposarsi e scappare, ma per la causa il giovane, che sta facendo l’addestramento militare, tiene in serbo una partita di droga confiscata dall’esercito e la nasconde proprio in casa di Estela. Il gesto segna l’inizio di una spirale di violenza inconcepibile che spazza via la famiglia di Heli quasi letteralmente: l’opera si apre con la visita di una funzionaria del censimento che raccoglie dati sugli abitanti della casa, e la sequenza, per quanto slegata narrativamente dal resto del film, resta conficcata nel petto quando dopo poco si fa il conto di ciò che resta di quella famiglia, tra omicidi, pestaggi, stupri e rapimenti. La ricerca di giustizia di Heli si trasforma in un altro campo minato, il cannone di un carrarmato è puntato contro la sua casa devastata e la polizia non è affatto d’aiuto. In un film che prevede una delle più insostenibili sequenze di tortura mai filmate (con l’unico sottofondo dei colpi inferti e di un videogioco in standby in profondità di campo), il punto di vista dove l’autore piazza la sua macchina da presa diventa zona ad altissimo rischio, un equilibrio difficile che Amat Escalante gestisce in modo impressionante: il suo distacco da quanto accade, spesso ripreso in campi abbastanza lunghi da far dimenticare la pesante concretezza dei corpi e del sangue, non è mai cinico. Nonostante il registro sfiori il grottesco, l’autore mantiene il giovane protagonista Heli al centro del racconto senza fargli perdere la sua umanità, nemmeno quando è costretto a cercare i resti del padre sparsi nel deserto. La regia composta e fredda non arriva a trasformare i personaggi in pupazzetti in balìa di un torture porn psicofisico, né indugia sull’orrore, preferendo mostrare (merito anche dell’ottimo esordiente Armando Espitia) il controcampo della violenza, lo spaesamento di un essere umano cui viene tolto tutto. Quello che tratteggia è, in fondo, un cruento racconto di formazione, la storia di un ragazzo che diviene uomo: il finale è perfino ottimista, di un ottimismo brutale e spiazzante, come il talento del giovane regista.
Heli [Id., Messico 2013] REGIA Amat Escalante.
CAST Armando Espitia, Andrea Vergara, Linda González, Juan Eduardo Palacios.
SCENEGGIATURA Amat Escalante, Gabriel Reyes. FOTOGRAFIA Lorenzo Hagerman.
Drammatico, durata 105 minuti.