Lo strano caso del Dr. Dellamorte e di Mr. Dog
In principio fu il romanzo. La storia di Francesco Dellamorte, becchino laureato in biologia, era il soggetto di Tiziano Sclavi per un manoscritto andato perduto. Quando la storia rivide la luce, il suo eccentrico protagonista era già apparso in Orrore nero, sullo Speciale numero 3 di Dylan Dog. Perché, sia chiaro, Francesco non è Dylan.
Magari spara agli zombie, ama i monologhi introspettivi e ha iniziato ad assemblare un teschio che probabilmente non finirà mai, proprio come il galeone dell’indagatore di Craven Road. Ma le assonanze finiscono qui. Francesco fuma e beve, legge solo elenchi telefonici e si diletta per passatempo a depennare i nomi dei trapassati. Se vi sembrano così simili è per colpa di Rupert Everett. È a lui che Sclavi si è ispirato per le sembianze di Dylan Dog, ed è sempre lui che, nel 1994, interpreta Francesco nel film diretto da Michele Soavi. Dellamorte Dellamore è un film anomalo come le sue origini. In bilico precario tra cinema e fumetto, ammicca all’horror con toni da commedia. Il risultato è talmente controverso da aver deliziato stuoli di fan disgustando altrettanti spettatori. Non si stenta a crederlo. La vicenda di Dellamorte, affiancato dal demente Gnaghi e innamorato della “più bella persona viva che abbia mai visto”, ha tante potenzialità quanti difetti. Da una parte c’è il mondo di Tiziano Sclavi, tra uffici burocratici e tombe spalancate, scorci ravvicinati di mostruosa routine e di un’umanità paradossale. Un mondo a metà tra superficie e sottosuolo, restituito da Soavi con punti di vista anomali e simmetrie speculari tra fuori e dentro la fossa. La ricchezza scenografica degli ambienti, i toni lugubri della colonna sonora fino alla plumbea fotografia di Mauro Marchetti concorrono a un’atmosfera cupa e suggestiva, evocando la sostanziale equivalenza di vita e morte. Dall’altra c’è il susseguirsi di gag forzate e ostinatamente trash, filosofia spicciola e accenti grotteschi. L’umorismo tipico del fumetto non trova qui un corrispettivo adeguato, perso tra giochi di parole e battute telefonate. Molto più comica – inconsapevolmente – la recitazione di buona parte del cast, da uno Stefano Masciarelli inutilmente gigione a un’Anna Falchi funzionale solo in virtù delle curve giunoniche. Il finale aperto e la trama rocambolesca ammantano la vicenda di onirica ambiguità, mentre il testo di Tiziano Sclavi inaugura un mantra divenuto cult. La morte che vive, la vita che muore | la morte, la morte, la morte e l’amore | che aspettano insieme il grande giudizio | e non hanno mai fine, non hanno mai inizio.
Dellamorte Dellamore [id., Italia/Francia 1994] REGIA Michele Soavi.
CAST Rupert Everett, François Hadji-Lazaro, Anna Falchi, Mickey Knox, Stefano Masciarelli.
SCENEGGIATURA Gianni Romoli. FOTOGRAFIA Mauro Marchetti. MUSICHE Manuel De Sica.
Horror/Commedia, durata 105 minuti.