SPECIALE PAOLO SORRENTINO
La vita agra
Difficile esprimere una valutazione di gusto su La grande bellezza, perché a differenza delle opere precedenti di Sorrentino questa non vuole “piacere”, bensì rendersi sgradevole, infastidire attraverso un crudo ritratto dell’ambiente neo-borghese italiano contemporaneo.
Giustamente associato a La dolce vita – citato a livello visivo, narrativo e nei dialoghi – il film più che un remake è da vedersi come una sua attualizzazione. Il regista evita così di (s)cadere nel rischioso paragone di per sé impari con un classico, per realizzare la sua opera più personale e sincera. Trasferitosi da sei anni a Roma, l’autore napoletano ne riporta per immagini, con i virtuosismi stilistici che contraddistinguono il suo cinema, impressioni non dissimili da quelle di Fellini di circa cinquant’anni fa. Attraverso il distaccato Jep, corrispettivo del Marcello felliniano (entrambi interpretati dagli attori-feticcio dei relativi registi), Sorrentino guarda a una classe sociale reale che, anche se accentuata nei suoi lati più grotteschi e miseri, non perde mai la propria natura umana. In una pietà priva di rancore, il protagonista – scrittore fallito ora giornalettista – vive la falsità ipocrita di vuote parole e botuliniche espressioni. Disgustato, ma allo stesso tempo attratto da quella gaudiente corte dei miracoli, Jep fluttua all’interno di orgiastici riti mondani pseudo-intellettuali sospinto da una insoddisfazione costante che lo porta, come l’amico Romano, a cercare se stesso, le radici di cui unicamente si alimenta la “Santa” sua ospite. Odi et amo. Il suo disagio è ciò che lo distingue dagli altri, la ricerca della grande bellezza ancora vive in lui, ormai sopita in una cinica indifferenza che è però solo apparente: è l’unico infatti a piangere al funerale del giovane conoscente suicida, così come a saper ancora apprezzare l’arte (le sue peregrinazioni notturne per la città deserta), distinguendola da vacue imitazioni (il suo atteggiamento scettico verso le esibizioni a cui è costretto ad assistere per lavoro). La sua non è presunzione di superiorità, è consapevolezza della propria essenza. Come il Marcello del 1960 sa di appartenere ormai a quel piccolo mondo contemporaneo e di non essere niente al di fuori di esso, ne conosce i meccanismi e ci convive, stanco e riluttante. Ennesimo antieroico outsider/alter-ego sorrentiniano, Jep non (si) assolve né condanna: constata il suo essere solo una parte, incostante, contraddittoria, bella.
La grande bellezza [id., Italia/Francia 2013] REGIA Paolo Sorrentino.
CAST Toni Servillo, Carlo Verdone, Sabrina Ferilli, Carlo Buccirosso, Iaia Forte.
SCENEGGIATURA Paolo Sorrentino, Umberto Contarello. FOTOGRAFIA Luca Bigazzi. MUSICHE Lele Marchitelli.
Drammatico/Grottesco, durata 142 minuti.