SPECIALE PAOLO SORRENTINO
Piccolo dizionario sorrentiniano
Per orientarsi nella complessità dell’ultimo film di Sorrentino, così ricco di spunti, suggestioni, riferimenti culturali appena accennati, la recensione classica potrebbe risultare poco utile. Un piccolo dizionario, invece, che rifletta la struttura frammentaria e centrifuga del film, il suo andamento fascinosamente dispersivo, ci sembra una scelta più appropriata.
A: Aironi. Anzi, no: fenicotteri. Destinati a suscitare la stessa, facile ironia dei dinosauri di Malick, in realtà non stonano affatto nel contesto del film, pieno di allegorie anche oscure, di immagini ambigue e sorprendenti, che talvolta sfiorano l’antinaturalismo del cinema espressionista, deformando la realtà, trasformando i numerosi volti in primo piano in maschere oscene e ributtanti, in una galleria grottesca di mostri, che va al di là della percezione oggettiva.
B: Bellezza. Quella cercata invano dal nostalgico Jep, ma anche lo splendore delle immagini fotografate dal grande Luca Bigazzi, quasi accecante, che fa il paio con l’ossessività della musica creando un effetto di ridondanza a tratti irritante e stucchevole, ma alla lunga funzionale a generare nello spettatore una nausea, un senso di subdola sopraffazione, correlato con il sentire di alcuni dei protagonisti del film, Jep in primis.
C: Classici. Dal brano di Viaggio al termine della notte, con cui inizia il film, a Turgenev, Dostoevskij citati dal “pazzo” nella scena al ristorante. Fino alla battuta esilarante “Proust è il mio scrittore preferito. Anche Ammanniti”, pronunciata da un signor nessuno per fare colpo sull’attrice che ormai si sente scrittrice e, ovviamente, vuole fare anche la regista.
D: Dialoghi. Infarciti volutamente di luoghi comuni (“Non ci sono più bei ruoli femminili”), contraddizioni (“Ci siamo rimasti io e te come raffinati”, risposta: “Giusto. Li mortacci!”), frasi fatte o espressioni banali, evitabili (“donna cazzuta”, “donna con le palle”), assurdità (“L’unica scena jazz interessante è quella etiope”, l’“ecce coniglio” del cardinal Bellucci), a testimonianza della vacuità e dell’ipocrisia del mondo rappresentato.
E: Etica dello sguardo. Lo sguardo liminare della mdp, sempre in movimento, che, in un film fatto di contrasti e collisioni, sembra oscillare tra il distacco cinico, spietato, giudicante, nei confronti dei personaggi, e il compiacimento estetizzante, la complice spettacolarizzazione.
F: Ferocia. Quella che regna, in armonia con la bellezza, nella Roma-mondo di squali e falliti, ma anche, secondo il giudizio della santa di 104 anni, nell’unico romanzo scritto da Jep, L’apparato umano. E, secondo il nostro giudizio, in tutto il cinema travolgente, eccessivo, sfrontato di Paolo Sorrentino.
La grande bellezza [Id., Italia/Francia 2013] REGIA Paolo Sorrentino.
CAST Toni Servillo, Carlo Verdone, Sabrina Ferilli, Carlo Buccirosso, Iaia Forte.
SCENEGGIATURA Paolo Sorrentino, Umberto Contarello. FOTOGRAFIA Luca Bigazzi. MUSICHE Lele Marchitelli.
Drammatico/Grottesco, durata 142 minuti.