Quando la musica diventa il collante di un continente intero
È calato soltanto da qualche giorno il sipario sulla 58a edizione dell’Eurovision, eppure se chiedessimo a qualcuno preso a caso d’intonare il brano vincitore – che per la cronaca è quello danese di Emmelie De Forest – probabilmente non sarebbe in grado di farlo.
La colpa di questa amnesia a caldo, comparsa a poche ore dalla finale persino tra chi l’ha seguita in tv con attenzione, forse non è imputabile solo a una distratta platea. Il ritorno dei concorrenti italiani sul palco ha finalmente decretato il ripristino della manifestazione nel palinsesto nazionale: ma nonostante il gran finale sia stato trasmesso per il secondo anno consecutivo live addirittura su Rai2, l’entusiasmo di tv e radio è stato abbastanza tiepido. L’attenzione si è doverosamente soppesata maggiormente sul vincitore di Sanremo che aveva l’onore di rappresentarci nella gara ma per il resto, nonostante anche quest’anno il livello artistico-musicale fosse buono, degli interpreti della kermesse europea si è vagamente accennato. Scarsamente probabile quindi che i loro brani entrino nelle nostre scalette radiofoniche, anche se ciò significherebbe trasmettere pure le recenti fatiche musicali di glorie internazionali del calibro di Bonnie Tyler. D’altro canto, sebbene l’intenzione dei creatori nel 1956 fosse di utilizzare la musica per riunire il continente europeo reduce dalla guerra, lo show era ed è in primis televisivo. Lo dimostrano le variegate e talvolta stravaganti soluzioni coreografiche proposte: Malta ha deciso di puntare tutto sulla simpatia del cantante, Mengoni ha voluto incarnare letteralmente l’essenza del brano ed è salito da solo sul palco ma c’è chi invece ha puntato tutto sulla messa in scena. Il pubblico ha apprezzato la schiettezza nostrana dei performer greci, però non è un caso se ad aggiudicarsi il podio alla fine sono stati proprio i concorrenti che più hanno investito sulla coreografia e cantato in inglese. La strampalata gonna moldava o il gigante buono dell’esibizione ucraina – simpaticamente canzonati dal trio Ardemagni/Solibello/Lusenti che ci ha intrattenuto con una divertente telecronaca stile Gialappa’s Band – ne sono buoni esempi. Dietro alle paillettes e all’illusione di un’atmosfera bonaria degna del mitico Giochi senza frontiere ciò che comunque si è percepito è una sorta di alleanza, specie nelle votazioni, tra gli stati del nord, che tanto ricorda quell’Europa a due velocità che a detta di molti si celerebbe dietro alle problematiche politico-economiche e all’austerity. Del resto, visti i sospetti di plagio musicale, compravendita dei televoti, provocazioni volutamente celate nelle performace pare che neanche questa gara sia del tutto estranea alle polemiche. L’edizione di Baku verrà ricordata come una delle più sfarzose, ma i siparietti cabarettistici dell’inaspettatamente istrionica Mede, le belle scenografie e gli effetti speciali scaltramente calibrati per sottolineare visivamente le atmosfere infuse dalle canzoni fanno sì che lo show della Malmö Arena non sfiguri certamente. Merito anche dei vorticosi stacchi tra i primissimi piani sul palco e le suggestive riprese grandangolari sull’emozionato pubblico presente che hanno intrattenuto senza mai annoiare chi stava a casa.