18 MAGGIO, COMPLEANNO DI MASSIMO GIROTTI
Rivoluzioni silenziose
La prima volta che ho visto Teorema ho subito pensato a Gli indifferenti di Moravia. Pasolini d’altra parte era intellettualmente legato allo scrittore. Se Moravia nel suo libro denunciava l’ipocrisia e l’apatia della borghesia italiana, in Teorema Pasolini racconta uno sfacelo più sottile e in particolare l’impatto di una nuova rivoluzione culturale.
Il film esce infatti nel 1968. L’incipit si distacca dal resto del film, e richiama invece il “cinéma vérité”: un giornalista intervista degli operai ai quali inspiegabilmente il proprietario dell’industria ha donato il complesso della fabbrica. Questi, che è interpretato da Massimo Girotti, è anche il padre di un’ordinaria famiglia borghese, dove sta per arrivare un ospite: senza nome, quasi una sorta di elemento venuto dall’esterno, un Edipo che giunge a Tebe. Ad annunciarlo è Ninetto Davoli, trasformatosi in una sorta di Hermes-postino. E’ invece Terence Stump ad interpretare l’ospite, giovane e di gran fascino. E’ qui che la rivoluzione silenziosa comincia. Pasolini sottolinea il cambiamento passando direttamente dall’uso del bianco e nero al colore. Il nucleo borghese della famiglia, padre, madre (Silvana Mangano), figlia, figlio e serva, si disfà. La rivoluzione si sviluppa da un puro lato sessuale: l’ospite diventa l’oggetto del desiderio, se non addirittura l’elemento catalizzatore del desiderio che i membri della famiglia scoprono di provare. Il cammino dell’uomo borghese capitalista è sottolineato a livello simbolico dall’alternanza a chiusura di alcune sequenze, e in particolare nel finale, dalla scena di un deserto scuro, mosso dal vento. Come in una tragedia greca l’ordine delle cose è stravolto. Pasolini costruisce il suo film in maniera “poetica”, riducendo al minimo i dialoghi, e utilizzando al massimo il potere dell’apparato cinematografico: i dialoghi avvengono a livello visivo, non solo tra i protagonisti (tra la serva Emilia e l’Ospite mentre sono nel giardino); ma anche gli attori con se stessi, grazie all’uso dello specchio, o quando il padre osserva il figlio mentre dorme nella stanza con l’ospite. Ancora la madre comunica attraverso lo sguardo, attraverso il proprio corpo. La comunicazione rimane spesso a livello implicito, quasi soffocata. Ogni personaggio devia dalla sua posizione voluta dai canoni borghesi. E quell’atto iniziale sovvertivo del proprietario capitalista è solo la cornice di un cambiamento più interiore e sottile. La rivoluzione, quella sessuale, del ’68 sgretola l’ipocrisia borghese. Se volessimo interpretare il film in riferimento autobiografico, questa liberazione è anche quella di Pasolini. Il soffocamento della parola/espressione troverà sfogo nell’urlo finale: l’uomo si libera dalle sue catene borghesi nel deserto, vagando nudo nel terreno inesplorato che annuncia un nuovo assetto sociale.
Teorema [Id., Italia 1968] REGIA Pier Paolo Pasolini.
CAST Massimo Girotti, Silvana Mangano, Terence Stamp, Laura Betti, Ninetto Davoli.
SCENEGGIATURA Pier Paolo Pasolini FOTOGRAFIA Giuseppe Ruzzolini. MUSICHE Ennio Morricone.
Drammatico, durata 98 minuti.