Il giorno dopo la morte di Giulio Andreotti, con grande tempismo, La7 ha trasmesso Il Divo. O piuttosto lo ha rimandato in onda, visto che il film di Paolo Sorrentino aveva già inaugurato un paio d’anni fa la stessa trasmissione, chiamata “Speciale – Film Evento”. Peraltro con quel film la trasmissione condivide, nella sigla, anche la musica: Toop Toop dei Cassius, già nella sequenza introduttiva del Divo.
“Film Evento” non ha una periodicità fissa, piuttosto va in onda quando un film viene considerato avere una particolare attinenza coi fatti politici d’attualità. E allora: Vi perdono ma inginocchiatevi, Draquila, Videocracy, Viva Zapatero!, Silvio Forever, La Passione di Cristo, Il Divo. Il film e poi il dibattito. È certamente un modo intelligente di usare i film, che fa bene innanzitutto al cinema stesso. Un modo nobile di considerare quest’ultimo, come se le opere non fossero solo puro intrattenimento da confinare nelle rassegne di Rai Movie, ma avessero davvero qualcosa da dire sul nostro Paese e sulla politica, capaci di contenere addirittura un elemento d’urgenza, sottolineato dalla natura “speciale” della trasmissione. E dalla stessa presenza di Enrico Mentana, come negli speciali-fiume per le elezioni politiche e presidenziali. Però mi sembra che l’idea di cinema politico di Film Evento sia molto letterale e piuttosto riduttiva. Il film è politico quando parla esplicitamente di politica, o al massimo quando è programmaticamente controverso (la Passione). Ma Il Divo, ad esempio, è davvero un film politico? È in grado di descrivere un sistema di potere? È almeno interessato a provarci? O è piuttosto un esercizio di stile, una scusa per infilare trovate brillanti di fotografia, di recitazione e di sceneggiatura, sfruttando anche gli aforismi del protagonista e la sua grottesca fotogenia? Di cosa parla Il Divo – racconta veramente qualcosa? Manca, nella trasmissione di La7, ogni interesse per una lettura allegorica del cinema, appena più raffinata, del suo modo di costruire spazi e di sfruttare particolari modelli narrativi. Ci si accorge che il cinema politico si trova altrove – e non c’è bisogno della finezza d’analisi di Fredric Jameson per affrontare la questione. Invitare un critico cinematografico in studio per il dibattito potrebbe già essere un punto di partenza. Un film eccezionale come La città ideale di Lo Cascio verrà mai trasmesso come Film Evento? Sarà mai oggetto di dibattiti in prima serata? Il film politico italiano deve convocare necessariamente Berlusconi, Andreotti, Piazza Fontana, la Diaz? Deve essere considerata come l’unica possibilità per un cinema impegnato, civile?