A PROPOSITO DI REMAKE…
Home Sweet Home
Un gruppo di ragazzi si chiude per le vacanze in una casa di campagna. Per caso risvegliano forze oscure sopite da anni. Segue un’ora abbondante di macelleria. Fine. Avere una buona sceneggiatura equivale a fare un buon film? L’horror è fecondo di storie appiattite su personaggi bidimensionali e intrecci assemblati meccanicamente come in una catena di montaggio.
Questa sorta di “primitivismo” narrativo acquista però un suo fascino quando viene controbilanciato da un apparato figurativo insolito, per le trovate di regia, i trucchi visivi, ma anche le simbologie e le citazioni. Se poi questa povertà di scrittura si arricchisce di interpreti scadenti e ristrettezze economiche, il contrasto tra contenitore (i virtuosismi di un violino) e contenuto (un misero “tappeto” di note di accompagnamento) diventa memorabile. Col suo primo lungometraggio, il ventenne Sam Raimi si traveste da bambino e gioca con la telecamera, il make-up, l’animazione stop motion. Dietro questo mirabolante saggio di bravura del futuro padre di Spiderman si nasconde il desiderio appunto di “giocare” a fare il regista, gattonando maldestramente tra la logica e la verosimiglianza, strillando il proprio amore per il cinema. Puro esibizionismo, pura inventiva. Una moto sfreccia tra gli alberi, ma noi vediamo solo il convulso agitarsi di chissà quale spettro, che la geniale trovata della shaky-cam rende quanto mai evocativo di una minaccia invisibile ma percepibile e pronta a colpire. Come una strega getta code di rospo e occhi di drago nel calderone, Raimi pesca da più di un secolo di immaginario horror e con soli 375.000 dollari ne cava un disgustosamente epico splatter che, se non dà origine al genere, incentiva negli anni Ottanta una deriva di arti spappolati, emorragie, secrezioni. Qui il sangue è un misto di sciroppo, latticini, colorante, mentre per il vomito è bastato tingere di verde la crema di mais. Raimi fa sbocciare i germogli del blood and gore presenti in film degli anni Settanta come Le colline hanno gli occhi, ripassando poi la palla a Wes Craven tre anni dopo, con il primo capitolo della saga Nightmare che però non raggiungerà mai i livelli di morbosità della serie Evil Dead, apostrofata non a caso con l’etichetta video nasty. Nel tritacarne imbastito con gli amici di sempre, su tutti l’onnipresente Bruce Campbell, ci finisce di tutto: dal Necronomicon di Lovecraft alla locandina di Psyco (nel manifesto del film la casa ricorda quella di Norman Bates), dal già citato Le colline hanno gli occhi (il poster campeggia addirittura in cantina) ai rigurgiti dell’indemoniata de L’esorcista, passando per il pendolo de La caduta della casa Usher fino alle ossa di Non aprite quella porta. Siamo in piena bulimia da citazione. E i mostri vomitano.
La casa [The Evil Dead, USA 1981] REGIA Sam Raimi.
CAST Bruce Campbell, Sarah York, Betsy Baker, Ellen Sandweiss, Richard DeManincor.
SCENEGGIATURA Sam Raimi. FOTOGRAFIA Tim Philo. MUSICHE Joseph LoDuca.
Horror, durata 85 minuti.