SPECIALE PABLO LARRAIN
Autopsia di una nazione
L’unico segno riconoscibile di Mario Cornejo, cinquantacinquenne funzionario di obitorio a Santiago del Cile nel 1973, è un singolare caschetto biondo platino, insufficiente a liberarlo dalla schiavitù crudele dell’anonimato sociale e sentimentale.
La sua figura parrebbe destinata allo sfondo o al contorno, la sua psicologia al ruolo momentaneo di una comparsa della vita, ma Pablo Larrain sa che è in personaggi come questo – nella loro totale estraneità all’epica del quotidiano – che risiede senza scampo il ritratto congelato e inerte di un intero paese attraversato dall’infamia della dittatura militare. Attraverso il primo piano insistente di un inetto diviso tra il compito meccanico di dattilografare le relazioni delle autopsie e la spietata solitudine della sua vita privata, Larrain riesce nell’impresa non scontata di toccare con freddezza quella parte delle nostre coscienze che vive il fallimento della realtà con vuota indifferenza, nell’incapacità feroce di comprendere le responsabilità individuali del baratro, di riuscire a connettere le storie proprie alla Storia di tutti, di riconoscerne il patteggiamento omertoso. Così questo film di grandissimo impatto ma raggelato a partire dalle inquadrature (pochi movimenti di macchina, uso frontale del master shot, primi piani di profilo, appiattimento dei soggetti contro lo sfondo, recitazione dimessa, tempi morti) slitta magistralmente dalla fedeltà della ricostruzione storica al potere eversivo della metafora, rivelando la posizione del regista proprio nel suo desiderio di attualizzare e universalizzare con metodo le vicende del suo cinema. Memorabili almeno tre momenti, e la forza della loro messinscena: la sequenza del sincopato pianto a due che lancia la sottotrama della love story, fondamentale proprio nella misura in cui amore e morte in questo film scorrono paralleli e speculari, e danno al film stesso, grazie alla prolessi in apertura, la forma di una patita rievocazione post mortem di chimere sentimentali sotto dittatura; la scena dell’autopsia al cadavere eccellente di Allende, un cortocircuito di rara intensità allegorica in cui il tempo presente denuncia l’impossibilità di un ritorno a ciò che avrebbe potuto essere ma tragicamente non è stato; lo straordinario piano sequenza conclusivo, che con la sua accumulazione visiva dice di una ferita chiusa in fretta e a stento, un dolore soffocato ma ancora in lotta per farsi presente e necessario. Vera e propria storia di fantasmi, Post mortem è il racconto interstiziale di una vicenda privata come specchio della condotta autistica dell’uomo di fronte al prevalere dell’Orrore.
Post mortem [Id., Cile/Messico/Germania 2010] REGIA Pablo Larrain.
CAST Alfredo Castro, Antonia Zegers, Jaime Vadell, Amparo Noguera, Marcelo Alonso.
SCENEGGIATURA Eliseo Altunaga. FOTOGRAFIA Sergio Armstrong. MUSICHE Juan Cristóbal Meza.
Drammatico, durata 98 minuti.