SPECIALE PABLO LARRAÍN
La quotidianità del male
Il cileno Pablo Larraín, classe 1976, è a parere di molti uno degli autori più interessanti scoperti nell’ultimo decennio, e uno dei pochi veramente meritevoli sfornati dal, chiamiamolo così, “vivaio” dei festival (Larraín è un habitué di Cannes e Torino) in questi ultimi anni.
Autore di quattro film – il primo Fuga (inedito in Italia), storia di un musicista problematico – nonché produttore eclettico, Larraín ha raccontato gli effetti devastanti causati dal regime di Pinochet sul Cile e sui cileni con una trilogia composta da Tony Manero, Post Mortem e No – I giorni dell’arcobaleno. Quest’ultimo scrive idealmente la parola fine sulla trilogia, raccontando una delle cause principali della fine del quindicennio di Pinochet: la campagna pubblicitaria a sostegno del “no” al referendum proclamato nel 1988. No si differenzia sotto alcuni aspetti importanti dai due film precedenti: per quanto riguarda la costruzione drammaturgica, sotto un certo punto di vista più tradizionale, e soprattutto perché la realtà politica è chiaramente in primo piano e non agisce nel fuoricampo o sullo sfondo come in Tony Manero e in Post Mortem, dove la dittatura assomiglia un po’ a quelle entità maligne dei libri di Stephen King che agiscono quasi impercettibilmente sul protagonista senza rivelarsi troppo chiaramente. I protagonisti di Tony Manero e di Post Mortem sono infatti due vegetali morali ed emotivi, mossi dal puro e semplice istinto: questo non è un istinto di sopravvivenza frutto del contesto, ma piuttosto l’espressione di un egoismo estremizzato e di un vuoto interiore enorme, prodotto di un regime che intuiamo esistere attraverso le urla e le violenze che risuonano dal fuori campo, dai bordi e dallo sfondo dell’inquadratura, dai discorsi e dai riferimenti accennati che lasciano i protagonisti assolutamente indifferenti e disinteressati (per esempio, in Post Mortem il golpe dell’11 settembre 1973 accade durante il primo piano del personaggio sotto la doccia). Larraín rappresenta quindi con grande pregnanza la “maggioranza silenziosa” su cui regimi e dittature si fondano e crescono, l’indifferenza e l’egoismo di cui sono allo stesso tempo cause ed effetti, in un discorso che non rimane autoreferenziale alla situazione e alla storia cilena, ma che può essere applicabile universalmente, anche come spunto di riflessione per contesti meno “gravi” e più quotidiani. La banalità, la mediocrità e la quotidianità del male, per usare un modo di dire conosciuto, dell’egoismo e dell’indifferenza escono quindi perfettamente fotografate dal regista cileno, soprattutto in quello che è il suo capolavoro: Post mortem, film di una tensione morale prima che politica ai limiti dell’insostenibilità, come dimostra la durissima e allo stesso tempo ipnotica scena dell’autopsia del corpo di Allende, e sostenuto da uno stile molto più complesso e consapevole di quanto possa sembrare a prima vista. E in No è vero che con il tramonto della dittatura “L’allegria sta venendo”, ma il primo piano finale del protagonista sembra stonare con il lieto fine della Storia, lasciando intendere che, nella sostanza, poco è davvero in procinto di cambiare.