Una storia semplice?
Non lasciatevi ingannare dalle apparenze. Nonostante la violenza ferina che imbratta le inquadrature; nonostante i legami malsani che intorbidiscono gli animi; nonostante i ricatti, le promesse tradite, i desideri di vendetta e la follia collettiva declinata in salsa post-moderna; nonostante “tutto”, The Following racconta una storia semplice.
Quella di un affascinante professore universitario di letteratura, Joe Carroll, che un giorno decide di dedicarsi all’arte per provare alla bellissima moglie Claire e al resto del mondo il suo inconfutabile talento di autore creativo. Succede, però, che al mondo le sue “opere” non piacciano e che l’avvenente consorte, piuttosto che curare l’orgoglio ferito dell’uomo, si ritrovi ad apprezzarne quello più sano e virile di un altro, tale Ryan Hardy, agente speciale dell’FBI. Arriva, puntuale e inevitabile, l’unica risposta possibile (nell’ottica di Joe) a tanta umiliazione: la vendetta. Da perpetrarsi rigorosamente con dovizia di sadismo e crudeltà. Questo, in sintesi, il cuore malato di The Following: un ménage à trois che si avvolge su stesso, barbaro ed estenuante, con l’ego offeso del maschio di turno a cercare di annientare il “vincente” rivale in amore. Lineare, quasi un “classico”. Ma la semplicità è un terreno scivoloso e se la materia di partenza, nelle mani di un regista esperto, avrebbe prodotto un buon film di un paio d’ore, non si può dimenticare che The Following è una serie televisiva e sul piccolo schermo ritmi e respiri narrativi possiedono tempistiche ben differenti. Qui il problema di fondo: The Following racconta una storia semplice ma vorrebbe raccontare altro. Cosa, però, non è del tutto chiaro e sorprende – o forse delude di più – che sia la sceneggiatura di Kevin Williamson, “papà” cinematografico di Scream e So cosa hai fatto, a gettarci in uno stato di irritante confusione. Non era male l’idea di partenza del professore bello e perverso che, tra una lezione e l’altra, amava cavare gli occhi a ragazze vive (le suddette “opere”) e iniziare (in)consapevoli serial killer al loro immutabile destino, facendone gli accoliti di una setta dai legami digitali; e prometteva bene il gioco manipolatorio di Carroll con Hardy, vero punto di accesso agli acuti meta-testuali di una sinfonia mortale. Peccato che tra risucchi spazio-temporali, viraggi al gore e insistite autoreferenzialità, tutto il potenziale disturbante della serie si perda nella rete (questa si, potentissima) dei cliché e degli stereotipi di genere, svendendo all’asta dei saldi le inizialmente ottime interpretazioni di Bacon e Purefoy, e affossando la suspense nel magma della prevedibilità. Perché The Following “dice” più che raccontare, “spiega” più che mostrare. E dopo aver cercato per quindici episodi un’identità narrativa introvabile, chiude il cerchio tornando all’origine di tutti i mali (il ménage, ovvio no?) ma è tardi anche per quello, ormai azione risibile di un vendicatore gigioneggiante. La rete – nel senso della FOX – ha dato il via libera per una seconda stagione. Ci auguriamo che Williamson faccia pace con se stesso, prima.
The Following [Id., USA 2013] IDEATORE Kevin Williamson.
CAST Kevin Bacon, James Purefoy, Natalie Zea, Annie Parisse, Shawn Ashmore.
Thriller/Drammatico, durata 45 minuti (episodio), stagioni 1.