Sottotrame di un cinema di genere
Un certo cinema di genere ha costruito nel tempo buona parte del suo fascino grazie alla presenza di sottotesti, paralleli alla vicenda principale, spesso relativi ai propri protagonisti e interpretabili in differenti chiavi di lettura, donando alle singole pellicole una longevità che sfociava nelle molteplici vie interpretative che nascevano con il passare degli anni.
È nella ripresa di alcuni topoi del noir che si fonda il polar, come il ritorno di un passato mai veramente chiusosi alle spalle dei protagonisti e che caratterizza il personaggio principale de Il cecchino. Un passato irrisolto, come irrisolta è l’azione militare in Afghanistan che diviene indirettamente la causa principale della relazione tra il cecchino con il capitano di polizia Mattei, scavalcando il motivo più superficiale del loro inseguirsi, la serie di rapine a delle banche cui è stato a capo il protagonista. La vicenda criminale viene scalzata della sua importanza per lasciare spazio al duello tra i due e in cui il terzo personaggio, il vero antagonista, diviene elemento strumentale di riproposizione del trauma irrisolto. Ciò che il buon cinema di genere è sempre stato in grado di fare è quello di esser riuscito a trovare un equilibrio tra la vicenda principale e le proprie sottotrame, un equilibrio dato non solo dalla forza dei plot ma soprattutto dalla sottigliezza con il quale i traumi e le psicologie dei protagonisti diventavano inaspettatamente l’elemento cardine nell’attenzione spettatoriale. Il cecchino al contrario pecca proprio sotto questo punto di vista, dove viene a palesarsi una scrittura che forzatamente mette in primo piano i traumi personali togliendo il piacere di una lenta e inconsapevole scoperta. La sceneggiatura in questo aspetto si mostra come un scrittura di pura maniera, in riproposizione di stilemi classici, studiati per esser poi messi in pratica, ma che mostrano l’assenza di sicurezza nel gestire l’apprendimento informativo incosciente dello spettatore, perdendo di fatto quell’equilibrio narrativo precedentemente citato. L’impressione alla visione di una pellicola di Michele Placido è sempre quella di uno scollamento fra narrato e aspetto registico: la conformità dello stile usato con le vicende raccontate diviene elemento fortemente programmatico, l’impegno civile si lega all’idea d’intrattenimento del cinema di genere (caratteristiche difficilmente riscontrabili altrove nel cinema italiano contemporaneo). Forse è proprio da questa conformità programmatica che si coglie con maggior evidenza una cesura tra stile e scrittura, divisione che è il maggior limite dell’intera produzione placidiana.
Il cecchino [Le Guetteur, Francia/Italia/Belgio 2012] REGIA Michele Placido.
CAST Daniel Auteuil, Mathieu Kassovitz, Olivier Gourmet, Luca Argentero.
SCENEGGIATURA Denis Brusseaux, Cédric Melon. FOTOGRAFIA Arnaldo Catinari. MUSICA Nicolas Errera.
Polar/Thriller, durata 89 minuti.