A volte mi metto nei panni dei registi italiani. E li capisco, anche quando verrebbe voglia di prenderli per il bavero, scuoterli e chiedere: “Perché?”. Mi spiego. In poche settimane stanno uscendo decine di film nazionali.
A quanto leggo, la causa – oltre alla miopia distributiva – va cercata nella corsa a farsi candidare per il David di Donatello, che ha una scadenza ravvicinata e dunque rende necessario sbrigarsi e scongelare anche tutte le pellicole (ovvero i digitali) che sono in frigorifero da un po’. Detto questo, il risultato è la totale indifferenza degli spettatori. Stanno transitando come rondini in viaggio i film di Alina Marazzi, Pappi Corsicato, Luigi Lo Cascio, Alessandro Gassmann, Elisa Fuksas, Giorgio Diritti, citando alla rinfusa, ed è francamente difficile affermare che qualcuno di questi lasci tracce profonde – non diciamo sull’immaginario – ma almeno sui discorsi che circolano e nell’agenda comune. Fin qui, nulla di nuovo. Ma, appunto, mettendosi nei panni del cineasta, uno pensa: mesi e mesi per scrivere la sceneggiatura, il giro delle celeberrime sette chiese produttive per trovare i soldi, poi la realizzazione non sempre fluida, il montaggio e infine si comincia col passare in maniera anonima a qualche megafestival italiano, o persino se ne viene rifiutati. Poi altra trafila, quella distributiva: mesi e mesi dove ti dicono che forse esce in una finestra a fine novembre, no anzi fine febbraio, niente da fare, lo mettiamo tra i “pending”, poi all’improvviso si è liberato aprile, ma in mezzo a altri sei film italiani, che si disputano le poche sale d’essai ancora attive. Ma il peggio viene a questo punto. Dopo tutti i sacrifici, dopo che hai penato almeno due-tre anni tra la prima idea e l’uscita reale del film, dopo il tentativo di far conoscere il titolo attraverso sfiancanti richiami sulla tua pagina facebook e twitter, dopo una breve tournée di anteprime mattutine davanti a giornalisti e critici stralunati, ecco che in 7-14 giorni il film sparisce, magari con 200mila euro d’incasso o giù di lì. Meteora. Il tempo di un arcobaleno. Dissolto come neve al sole. Poi hai voglia a girare per qualche arena estiva o aspettare che una rete tv te lo acquisti per poche migliaia di euro e lo proietti a mezzanotte.
Deve essere davvero frustrante. E in molti casi non parliamo di opere mediocri. Spesso incerte, irrisolte, velleitarie, sì, ma presentabili e dignitose. Insomma, siamo nell’epoca dell’abbondanza (di testi) e della carenza (di soldi). Non varrebbe la pena accorciare drasticamente il “prima” (dal soggetto al film), visto che allungare il “dopo” appare impossibile? Abbiamo bisogno di un cinema italiano più piccolo, più rapido, più sostenibile e più diffuso, indipendentemente dal nemico, produttore o distributore che sia.