Human Rights Nights, 18-21 aprile 2013, Bologna
Diritti al festival
Vivere in una società multirazziale significa condividere un medesimo spazio (tendenzialmente urbano) con gruppi etnici provenienti da realtà anche profondamente diverse dalla propria, in un’aggregazione fondata sull’incontro tra culture e Storie.
Prende così forma una condizione unificante, basata su princìpi fondamentali come l’uguaglianza e il rispetto della propria e altrui diversità che, mantenute vive all’interno della comunità, diventano punti di partenza per un confronto in vista di una vera comprensione e accettazione reciproche, in una ricerca collettiva di una convivenza pacifica e del bene comune. Un processo tanto complesso richiede il coinvolgimento costante delle parti interessate in un dialogo ormai indispensabile nel contesto socioculturale contemporaneo. È quello che, da tredici anni, sta cercando di fare il Human Rights Nights Festival, rendendosi ponte ideale tra comunità e istituzioni (e di conseguenza culture) volte a una vicendevole accoglienza che non sia di sole parole, ma piuttosto di fatti concreti; e il successo dell’edizione appena conclusasi dimostra quanto l’intento prescelto sia giusto e opportuno. Incentrato quest’anno sul tema “sviluppo e migrazione”, come nella scorsa edizione, il festival – sostenuto dalla CE e partner del progetto europeo AMITIE per un’educazione all’integrazione – ha offerto diversi spunti di riflessione sulla tematica centrale. Oltre alla programmazione cinematografica, che ha alternato film già editi (tra cui La barca è piena, La porta d’oro, Il cammino della speranza, Welcome, Miracolo a Le Havre) e anteprime quali A Better Life di Chris Weitz e A Restless City di Andrew Dosunmu, una serie di incontri, workshop e tavole rotonde hanno riflettuto sulla situazione attuale a livello internazionale, soffermandosi in particolare sulle più significative campagne di comunicazione sociale e sui festival come strumento di “artivismo”. Infine le installazioni di Chizu Kobayashi, gli spettacoli di Pè no chão, Parada e Pilastro, l’atelier moda di Julieta Manassas, i concerti, i laboratori creativi di sartoria e parruccheria e gli incontri/confronti culinari con le cucine tradizionali di Africa e Medio Oriente hanno dimostrato in maniera pratica un’effettiva possibilità di coesione tra i diversi gruppi interessati a un profondo scambio culturale. Un invito a superare i propri limiti e aprirsi all’altro in vista di un arricchimento personale e collettivo, in uno sforzo e un impegno individuale e comunitario oggi più che mai non facile, ma necessario.