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L’uomo che visse nel futuro (1960)

sabato 13 Aprile, 2013 | di Filippo Zoratti
L’uomo che visse nel futuro (1960)
Film History
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SPECIALE MONDI SCONOSCIUTI
Viaggiare nel tempo, su una poltrona di velluto rosso
Dovessimo stilare un’ipotetica classifica delle bizzarrie fantascientifiche alle quali l’uomo vuole credere, probabilmente le prime tre posizioni sarebbero occupate dal teletrasporto, dall’immortalità e dal viaggio nel tempo. Cinematograficamente parlando, fra i tre l’espediente più duttile e più utilizzato è senza dubbio lo sconfinamento in epoche precedenti o successive alla nostra.

A ben pensarci, tutti i film ambientati nel futuro e nel passato sono viaggi nel tempo “impliciti” e – forzando un po’ la mano – “extradiegetici”, validi per lo spettatore che guarda anche se non per i protagonisti sullo schermo. Lo stesso vale per i prodotti distopici, che mostrano una società fittizia nella quale è in atto un’apocalisse distruttiva.mediacritica_l_uomo_che_visse_nel_futuro1a In questi salti temporali in avanti, siamo stati abituati ad una evoluzione mentale e fisica dei personaggi: chi governa il mondo – nel bene o nel male – è un genio evoluto e dominante, con a disposizione una tecnologia da urlo che nemmeno immaginiamo. Il capostipite L’uomo che visse nel futuro compie però una scelta diversa. Una volta costruita la stramba crononave (una poltrona di velluto con una manovella in quarzo!) che gli farà attraversare la quarta dimensione, lo scienziato George dribbla lo scetticismo degli imbalsamati amici e inizia il viaggio: 1917, 1940, 1966 (con le immagini di una terza devastante guerra mondiale che spazza via Londra), fino all’anno 802701. Avremo finalmente imparato a controllare gli elementi e noi stessi? La risposta sembra essere positiva: circondato da una natura “ubertosa” – dice George – l’uomo ora vive godendosi il sole e la libertà. Ma ciò che appare armonia in verità è semplice apatia: la popolazione degli Eloi è insensibile, curiosità e cortesia sono morte, l’umanità è ridotta ad un candido stato vegetale; nessuno lavora, nessuno sa scrivere. La civiltà è morta, e lo è soprattutto una volta scoperta l’entità dei cattivi che hanno soggiogato l’essere umano: i rozzi Morlocks, bestie cannibali dagli occhi infuocati che vivono sottoterra. Mutanti intelligentissimi? Macché, deboli e vulnerabili (alla luce del sole) animali che George facilmente sconfigge a suon di mazzate. Il messaggio del film, molto sfumato rispetto alle implicazioni socio-politiche del romanzo originario di H. G. Wells, guarda sì al progressismo e al socialismo, ma in realtà si ferma molto più in superficie: in un mondo governato da stolti e impolverati affaristi, probabili antenati degli sciroccati Eloi e dei bruti Morlocchi, l’unico savio che può salvarci tutti prima del disastro è George. Perché è uno scienziato e un luminare? No, semplicemente perché è ancora in grado di sognare.

L’uomo che visse nel futuro [The Time Machine, Gran Bretagna/USA 1960] REGIA George Pal.
CAST Rod Taylor, Alan Young, Yvette Mimieux, Sebastian Cabot.
SCENEGGIATURA David Duncan (tratta dal romanzo La macchina del tempo di H. G. Wells). FOTOGRAFIA Paul Vogel. MUSICHE Russell Garcia.
Avventura/Fantascienza, durata 103 minuti.

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