Poco fumo e poco arrosto
Sopra la neve di Stoccolma si consuma un violento duplice omicidio: prima un istruttore di ginnastica viene ucciso nella palestra della scuola e, poco dopo, un’intera famiglia viene massacrata dentro le mura domestiche. Unico sopravvissuto, il figlio Josef. Per scavare nella memoria del ragazzo viene chiamato un ipnotista, Erik Maria Bark (Mikael Persbrandt), che affiancherà la polizia nelle indagini, mettendo così in pericolo la sua famiglia.
Dall’omonimo romanzo di Lars Kepler (pseudonimo dietro cui si nascondono i coniugi Alexander e Alexandra Ahndoril), uscito in Italia nel 2010 quando il noir svedese sembrava l’unica fonte di guadagno delle case editrici, il regista Lasse Hallström confeziona con L’ipnotista un thriller molto crudo, in controtendenza con la sua produzione precedente (Chocolat, Le regole della casa del sidro, Hachiko, Buon compleanno Mr. Grape), riprendendo il tema dell’omicidio violento e immotivato in un regime di apparente tranquillità. Ma se le prime sequenze, che sorprendono lo spettatore tanto quanto le vittime, ci illudono che la cifra stilistica sarà l’improvviso, il non-visto che arriva alle spalle, già a metà proiezione dobbiamo ricrederci completamente, spostando la nostra attenzione sulle modalità ridicole con cui si cerca di venire a capo del mistero. Mettete insieme un ipnotista che si stordisce ogni sera con potenti sonniferi e che non pensa ad altro che al cibo, agenti delle intercettazioni completamente rilassati che leggono libri, bevono caffè, tè (un cappuccino no?), un commissario che preferisce portare a cena un’infermiera piuttosto che lavorare sul caso, e una fuga finale improbabile, al limite del fantasy (solo due parole: neve, autobus), e avrete non una barzelletta ma il riassunto di due ore di film. In tanto cinema contemporaneo si lamenta un’iniqua proporzione fra visivo e narrativo che propende più per il primo, per la costruzione di immagini impeccabili che all’uscita dalla sala ci fanno gridare all’“eccellente fotografia”, e non per quello che tutt’ora dovrebbe rappresentare la base di un racconto: la storia. Una storia debole genera personaggi poco credibili che non sentono il dramma, rendendo ancora più ridicoli quelli che lo sentono troppo (vedi la moglie dell’ipnotista) e lasciando noi nella strana condizione di spettatori immobili di un’opera che non cerca il nostro interesse, limitandosi a elemosinare qualche sobbalzo.
L’ipnotista [Hypnotisören, Svezia 2013] REGIA Lasse Hallström.
CAST Tobias Zilliacus, Mikael Persbrandt, Lena Olin, Helena af Sandeberg, Jonatan Bökman.
SCENEGGIATURA Paolo Vacirca (dall’omonimo romanzo di Lars Kepler). FOTOGRAFIA Mattias Montero. MUSICHE Oscar Fogelström.
Thriller, durata 122 minuti.