SPECIALE ALFRED HITCHCOCK
Caccia alla ladra
“I colori! Non li sopporto quei colori!”. È impossibile pensare a Marnie senza pensare al rosso. Non soltanto perché imbeve lo schermo quando la protagonista vi posa lo sguardo, ma perché rosso è il colore delle pulsioni, del desiderio ardente e del battito accelerato. Il colore di Marnie, appunto. Ladra compulsiva angosciata dalle ossessioni, Marnie rifugge il rosso come il proprio rimosso. Ma la sua brama di indipendenza si scontra con l’indole predatrice di Mark Rutland, generando un duello di possesso e competizione.
Film dall’accoglienza controversa al momento della sua uscita, Marnie divide ancora oggi il pubblico di Hitchcock tra entusiasti e contestatori. Molte le critiche che gli furono mosse, dall’imperfezione tecnica della messa in scena alla disinvoltura con cui la sceneggiatura riduce la complessità del romanzo di Winston Graham. Ma se a distanza di tanti anni Marnie riesce ancora a turbare profondamente, è in virtù di una precoce audacia nel trattare delicati retroscena ed esplicita sessualità. I temi che lo attraversano richiamano altre opere di Hitchcock, dall’amore ossessivo di Vertigo al rapporto con la madre affrontato in Psyco, fino alla psicanalisi spicciola di Io ti salverò. Ma quel che più coinvolge è la gara di potere tra i due protagonisti: lei ambigua, fragile e priva di scrupoli; lui saldo, influente e socialmente arrivato. Lotta di ruoli, sociali e sessuali, che trascina la coppia in un gioco morboso di supremazia e controllo, costellato da continue allusioni alla caccia e alla cattività. Intimamente inibita e apparentemente spregiudicata, Marnie rivendica un affrancamento dall’autorità maschile con la stessa ostinazione con cui Mark è intenzionato a riaffermarla. Il feticismo palpabile dello sguardo, a partire dalla sequenza iniziale, con le unghie laccate della Hedren che armeggiano tra effetti personali e dettagli rivelatori, si accompagna all’evocazione attenta della patologia. L’intrusione ossessiva in casseforti e borsette sembra alludere al tentativo disperato di fare breccia nel ventre e nell’affetto materno, mentre l’artificiosità dei fondali dipinti contribuisce a creare un’inquietante sospensione onirica. Di questo film sofferto, l’ultimo in cui il regista si avvalse della fotografia di Robert Burks e delle musiche di Bernard Herrmann, restano la forza di un erotismo perturbante e alcune scene magistrali, come quella del furto di Marnie nella stanza accanto alla donna delle pulizie. Destò scandalo la violenza del personaggio di Sean Connery, al tempo James Bond per Goldfinger, mentre la splendida protagonista, peraltro madre di Melanie Griffith, subì sul set l’attenzione ossessiva dello stesso Hitchcock. Truffaut lo definì “un grande film malato”, unico in virtù dei suoi difetti, frutto di “riprese avvelenate dall’odio e accecate dall’amore”.
Marnie [Id., USA 1964] REGIA Alfred Hitchcock.
CAST Tippi Hedren, Sean Connery, Diane Baker, Bruce Dern, Alan Napier.
SCENEGGIATURA Jay Presson Allen (tratta dall’omonimo romanzo di Winston Graham). FOTOGRAFIA Robert Burks. MUSICHE Bernard Herrmann.
Thriller, durata 129 minuti.