Involucri di umanità
Gli occhi non mentono. Come piccoli riflettori puntati sul cuore dell’anima, rivelano moti di dubbi crescenti; come specchi luminosi esposti alla fonte della vita, rifulgono di bellezza e speranza inaspettate. Gli occhi come porte aperte sul “sé” più nascosto, disperato, mai stanco di lottare per il proprio diritto alla sopravvivenza.
Infine, gli occhi come segno distintivo di appartenenza ad una etnia aliena, che in un futuro non ben precisato ha invaso la Terra “colonizzando” i corpi dei suoi “selvaggi” abitanti, gli umani. Per scopi encomiabili – una sorta di evangelizzazione laica il cui fine è la pacificazione del pianeta – ma perseguiti con mezzi distruttivi: la conquista dei corpi da parte delle “anime” (le entità extraterrestri) comporta l’azzeramento della coscienza e dei ricordi dell’essere assoggettato, ridotto a mero involucro di un’esistenza altrui. Una dittatura ammantata di benevolenza che sfocia nella progressiva messa in schiavitù del genere umano. Che a soccombere, ovviamente, non ci sta e si riorganizza in gruppi di tenace resistenza. A far da ponte tra due realtà “l’un contro l’altro armate” c’è Melanie Stryder, ribelle sottomessa dall’anima di Viandante con la quale instaura un inatteso rapporto di simbiosi conoscitiva… Andrew Niccol, dopo Gattaca e In Time, torna a rimestare il terreno delle identità violate, della ghettizzazione fisica e morale, della veridicità dei sentimenti. Ma usa strumenti poco affini alla consistenza della materia narrativa scelta e, esclusione fatta per alcune cifre scenografiche notevoli, lo spessore del dramma si dissolve tra situazioni stereotipate, dialoghi intrisi di cliché, personaggi abbozzati e impermeabili all’empatia. Nonostante gli sforzi (più o meno) evidenti della Ronan, di Diane Kruger e William Hurt, in The Host si intravedono soltanto i riflessi opachi di quell’eccellenza poetica e metaforica che in Gattaca era in grado di animare pulsioni, vivificare conflitti, supportare le azioni dei protagonisti. Lo sguardo di Niccol appare qui alieno alle stesse sofferenze e gioie rappresentate, scisso dall’anima della propria opera, come stonato e disconnesso risulta il legame tra Melanie e Viandante. Destino identico per il messaggio di cooperazione comunitaria oltre le barriere di razza che il film costruisce come cornice contenitiva e di riferimento: doveroso più che sentito, non esente da forzature e perplessità. Un’esplorazione affascinante in sé ma dagli approdi instabili, una porta su problematiche etiche ed esistenziali forti montata su cardini cigolanti e aperta solo per metà. Dal poeta-visionario Niccol è lecito e inevitabile aspettarsi molto, ma molto di più.
The Host [Id., USA 2013] REGIA Andrew Niccol.
CAST Saoirse Ronan, Diane Kruger, Max Irons, Marcus Lyle Brown, William Hurt.
SCENEGGIATURA Andrew Niccol (tratta dal romanzo L’ospite di Stephanie Meyer). FOTOGRAFIA Roberto Schaefer. MUSICHE Antonio Pinto.
Fantascienza/Drammatico, durata 125 minuti.