XX FilmForum Festival, International Film Studies Conference, 12-21 marzo 2013, Udine/Gorizia
Caro Steve ti scrivo
Serata dedicata all’artista belga Herman Asselberghs quella di martedì sera, attivo nel campo delle installazioni e del video. I suoi lavori si concentrano in particolare sul rapporto tra il mondo e i media, senza tralasciare le implicazioni politiche. Quelle che vengono presentate a Gorizia sono tre delle sue opere più recenti: Dear Steve (2010), Speech Act (2011) e A.M/P.M. (2004).
In particolare Dear Steve offre una panoramica di quella che è la sua idea del rapporto tra il mondo e la rappresentazione di esso attraverso i media, in modo apparentemente molto semplice.
Il titolo è esplicativo. Dear Steve si riferisce a Steve Jobs, e l’oggetto dell’analisi di Asselberghs è un MacBook Pro nuovo fiammante, che viene posto su un grande tavolo e tolto dalla confezione sotto i nostri occhi. La ripresa è neutra, frontale e man mano vengono estratti dalla scatola tutti gli elementi che vi sono contenuti. Sul piano sono accuratamente disposti anche cacciaviti e altri utensili, quasi fossero strumenti chirurgici. E in effetti le operazioni che seguono hanno molto in comune con la chirurgia. Il portatile viene infatti smontato in ogni suo pezzo e ogni pezzo viene scomposto in ogni sua parte, per poi venire ordinatamente disposto su un lato del tavolo.
Più che un de-assemblaggio si tratta di un’autopsia vera e propria condotta in religioso silenzio, che invece di indagare le cause della morte dell’oggetto in questione (il portatile diventa metafora di tutta l’azienda di Cupertino), ne indaga le cause del successo. Una voce fuori campo legge una lettera indirizzata a Jobs in persona, dove vengono messi in luce sia i punti di forza, che (soprattutto) le ambiguità che l’impero Apple inevitabilmente porta con sé.
“Designed in California, made in China” sentiamo dire ad un certo punto. È naturale che nell’era della globalizzazione anche il ciclo produttivo della merce si globalizzi, ma in un prodotto così fortemente caratterizzato e geolocalizzato come il laptop della Apple questo può sembrare ipocrita, e Asselberghs ce lo dice chiaramente. La creatura di Steve Jobs è frutto della cultura mainstream, che tradizionalmente è in bilico tra la percezione di sé e la percezione del resto del mondo, entrambe filtrate proprio attraverso mezzi come il MacBook Pro. Appare dunque evidente come un’industria fondata su questo gap risulti inevitabilmente anch’essa in bilico.
Dear Steve [id., Olanda 2010], REGIA Herman Asselberghs.
CAST Stan Wannet.
FOTOGRAFIA E MONTAGGIO Fairuz.
Video, durata 45 minuti