Tramonto di un gigolò
E’ sempre triste dovere assistere al riciclaggio di un sex symbol. Vedere sul grande schermo i divi di ieri, vecchi e malfunzionanti, rimpiazzati dai bellimbusti in materiale ecosostenibile di oggi.
Ma è ancor più triste quando l’eroe di un’epoca fa, che la morte anticipata non ha consegnato alla Storia avvolgendolo di un’aura sempiterna, e che solo sullo sguardo da piacione, la natica d’acciaio ed il pettorale in tensione tracimante sudore aveva costruito la fama, non prende atto della propria data di scadenza, ostinandosi imperterrito a ricoprire il solito personaggio. Richard Gere appartiene al clan di quegli attori dei gloriosi anni ’80 che non sono mai riusciti a raggiungere una maturità artistica, rimanendo sempre (a differenza dei successivi Di Caprio, Pitt e Depp) arroccati sul mito/scoglio della fisicità. In Arbitrage (titolo originale), l’ex pretty man sveste i panni di un magnate della finanza immischiato in giochi di sesso e potere, ma rispetto a quando si spogliava dei completi Armani in American Gigolo, i capezzoli sono ormai avvizzite orecchie da cocker, l’aria è stanca e affaticata, e proprio non gli riesce più di sollevare Letitia Casta come l’operaia di Ufficiale e gentiluomo. La sindrome di Peter Pan in video più che nel quotidiano è presto smascherata e lascia strascichi di profonda desolazione e senso del ridicolo, quando un primo piano ravvicinato svela inesorabile la caduta libera delle rughe facciali o al contrario, i solchi gonfiati dalle punturine di botox. Ad esempio il collega George Clooney per correre ai ripari e correggere l’andatura calante ha optato recentemente per un lifting testicolare, mentre Bruce Willis spera ancora che il luccichio della fallica pelata basti a distrarre dalle scene d’azione acciaccate in Die Hard numero 5. Harrison Ford e Michael Douglas appartengono ad un’altra generazione ed ultimamente trascorrono le giornate in ospizio, ma all’età di Tom Cruise (freschissimo di imprese mirabolanti in Jack Reacher ), anche loro inseguivano le missioni impossibili seducendo acerbe fanciulle. Se vogliamo Arbitrage, che ad un primo acchito sembra ricalcare lo schema consolidato della distinzione dei ruoli nello star system hollywoodiano, restituisce giustizia alla frode della falsa giovinezza, poiché riduce finalmente in mutande anche da un punto di vista etico e morale il suo protagonista maschile, privandolo dei simboli di uno status conquistato con l’inganno. Ma soprattutto, fa sì che l’attesa rivincita sia compiuta da Susan Sarandon, esponente delle attempate coetanee e partner femminili, abituate a recitare la parte di madri isteriche, regine del focolare e mogli cornute.
La frode [Arbitrage, USA/Polonia 2012] REGIA Nicholas Jarecki.
CAST Richard Gere, Tim Roth, Susan Sarandon, Brit Marling.
SCENEGGIATURA N. Jarecki. FOTOGRAFIA Yorick Le Saux. MUSICHE Cliff Martinez.
Thriller/Drammatico, durata 100 minuti.