Dal trauma dell’11 settembre fino alle speranze dell’era Obama, passando per l’Afghanistan e l’Iraq, per la lotta al terrore che ha costretto a scendere a patti, mettendola in crisi, con una certa auto-rappresentazione identitaria della nazione, senza dimenticare la crisi economica: il primo decennio del XXI secolo è stato per gli Stati Uniti il decennio della paura, della chiusura, del rifiuto, dell’identità smarrita, ma anche della nuova grande narrazione proposta da Barack Obama, che sembrerebbe aver dato al paese una nuova e più complessa idea di sé.
In questo inizio 2013, almeno quattro più o meno grandi film hanno mostrato l’idea di un paese più consapevole e meno ingenuo per quanto allo stesso tempo altrettanto orgoglioso. A partire dalla rappresentazione di due capisaldi ideali della democrazia statunitense: Abraham Lincoln e l’abolizione della schiavitù in Lincoln di Steven Spielberg. Rimangono saldamente con i piedi nel campo della mitologia della nazione, ma allo stesso tempo vengono descritti con uno sguardo più cinico e disincantato, meno idealista, sostenuti da una vena di implicita e sofferta malinconia. Lo stesso discorso di fondo si può fare per uno dei film più lucidi e tormentati degli ultimi anni: Zero Dark Thirty di Katherine Bigelow, che racconta il lungo processo di cattura di Bin Laden come una perdita di sé e della propria natura primigenia, come un’ossessione travolgente che porta inevitabilmente allo smarrimento (della protagonista e della nazione). Altro esempio interessante di questa tendenza è il pilota protagonista di Flight di Robert Zemeckis, da un lato eroe a cui è riuscita una cosa impossibile, dall’altro arrogante alcolizzato pieno di difetti: personaggio ambiguo e descritto con ambiguità, a cui è estraneo il tipico didascalico e lineare processo di presa di coscienza e di auto-miglioramento, eroe atipico che porta con sé i dubbi e le incrostazioni di questo decennio di malattia e di convalescenza della nazione. Se a questo breve elenco aggiungiamo anche il Django Unchained di Tarantino, film ‘cazzone’ e divertito -oltreché divertente- ma per il quale non sarebbero fuori luogo riflessione più serie, abbiamo davanti una tendenza abbastanza chiara: gli “eroi” della nuova era obamiana sembrano portare con sé la necessità e la consapevolezza di un orgoglio di nazione ribadito, di un sogno ancora vivo, ma anche meno ingenuo, meno banalmente entusiasta, più consapevole, tormentato e combattuto, dove il bianco e nero della storia non sono separati nettamente, ma uniti da una serie di sfumature.