Strofinando gli occhi
Fidarsi di un autore, farsi prendere per mano e farsi condurre nel proprio universo creativo: questo è quello che accade leggendo Paco Roca, Il gioco lugubre è un altro esempio della visionarietà e del talento del fumettista spagnolo.
Stregato dal ritrovamento dell’omonimo manoscritto autobiografico di Jonas Arquero, semplice segretario ritrovatosi a vivere per un breve periodo in casa di Salvador Dalì nel 1936, Roca cerca di rappresentare le sue parole e il suo vissuto. Dalì è Salvador Deseo, all’inizio della sua carriera surrealista in contrapposizione con tutti gli altri artisti, e la storia procede tra mito e fantasia mentre è quasi impossibile capire dove finisca la realtà e dove inizia la finzione. L’impacciato segretario scoprirà un mondo popolato da incubi e situazioni perturbanti, che stanno alla base dei quadri più famosi dell’artista catalano: animali morti, sangue, feste in spiaggia, occhi mozzati, orge e “donne armadio”. Tutti odiano a Cadaqués il pittore e le sue pratiche oscure, siamo all’alba della guerra civile, e questo odio porterà il giovane segretario a screditare le maldicenze ritrovandosi a sua volta a vivere un in un tormento senza fine. Roca contribuisce a fomentare il Mito Dalì, uomo eccentrico, sì, ma geniale nell’aver condotto la sua vita e la sua produzione artistica all’eccesso: se ogni pagina della graphic novel fosse reale ci troveremmo davanti ad un mostro sadico e crudele. Il fascino di Il gioco lugubre sta proprio in questo: il confine labile tra realtà e immaginazione incanta il lettore anche attraverso delle tavole disegnate magnificamente nei minimi dettagli. Roca, di solito realista e narratore della storia di tutti i giorni come in Rughe, si trova a suo agio nel thriller di cui è impregnato questo fumetto, e ci porta a ragionare sul “diverso”. L’ignoranza e le maldicenze formano la corazza all’uomo Dalì, che fragile e disturbato, si nutre della gente per dar forma ai suoi sogni, regalandoci opere d’arte che ancora oggi stupiscono e ammagliano. Prendere la vita con più leggerezza e abbandonarsi al proprio inconscio per “scappare dal labirinto della vita strofinando con forza gli occhi”. Unica pecca di Il gioco lugubre è la brevità, un maggiore approfondimento avrebbe caratterizzato forse meglio alcuni personaggi, come Roser, la giovane amata da Jonas; ma da questo si intuisce ancora di più la febbrile infatuazione di Roca per questo racconto, quasi fosse stato buttato giù di getto. Sarebbe interessante che qualcuno prendesse in mano Il gioco lugubre e ci facesse un film, potrebbe iniziare con la falsificante frase “Tratto da una storia vera”…