Educazione criminale, puntata n.3
In Educazione siberiana Gabriele Salvatores mette in scena ancora una volta una sorta di “educazione criminale”, rappresentando un racconto di formazione di un giovane per il quale il contatto con il crimine diventa metafora della crescita e della presa di consapevolezza di sé.
Questo sembra essere il tema principe della poetica del regista milanese in questi anni duemila, con l’eccezione di Happy Family e di Quo vadis baby. Pur con le loro diversità, possiamo quindi dire che Io non ho paura, Come Dio comanda e Educazione siberiana facciano parte di una trilogia, anche perché presentano punti di contatto tematici e stilistici. A partire dalla centralità della fotografia, legata all’importanza assunta dal paesaggio e dalle sue tonalità di colori come immediati riferimenti visivi delle condizioni e dei travagli dei giovani protagonisti: dai soleggiati campi di grano della campagna lucana in Io non ho paura, alle livide tonalità di grigio delle basse valli friulane in Come Dio comanda al bianco dominante della Russia di Educazione siberiana. La gelida coltre di bianco fa da cornice alle tappe più importanti della crescita criminale del giovane protagonista, simboleggiando così un piatto contesto che impedisce al destino di prendere strade diverse da quella della sopravvivenza criminale. Opposto alla fredda piattezza del bianco esterno, una fotografia calda, basata sulle sfumature dorate del fuoco, sostiene i momenti in cui, nella protezione della casa e della comunità d’origine, si entra in contatto con i secolari valori e regole della comunità siberiana, sì orgogliosamente criminali, ma con un forte senso dell’onore di fondo.
I tre film si assomigliano, inoltre, perché mostrano i pregi e gli altrettanto innegabili difetti del cinema di Salvatores. Io non ho paura è sicuramente il risultato più compiuto e affascinante (e lo è anche dell’intera carriera del regista), per l’equilibrio tra la forza stilistica e l’efficacia tematica e narrativa, mentre quest’ultimo lavoro si pone decisamente sopra l’inconcludente Come Dio comanda, pur rinnovandone alcuni problemi di fondo. Innanzitutto, la difficoltà di Salvatores (dimostrata non sempre, ma spesso) di andare in profondità delle storie raccontate: l’innegabile forza registica e la capacità di regalare momenti di ottimo cinema, trascinante e impeccabile, appaiono spesso se non come fini a se stessi, per lo meno incapaci di sorreggere per la durata dell’intero film un discorso ulteriore. Lo si vede in questo caso soprattutto per la mancanza di profondità con cui è descritta l’amicizia tra Kolima e Gagarin, per come è fuori fuoco e sopra le righe Xenya, per la prevedibilità di molti snodi narrativi e per la ricerca un po’ ossessiva di scene madri. Se più di una scena possiede un efficace senso epico ed una forza invidiabile, altrettante sono quelle che scorrono sulla mente dello spettatore come sul marmo, e alla fine è difficile fare tornare i conti su un autore alla continua ricerca della quadratura del cerchio.
Educazione siberiana [Id., Italia 2013] REGIA Gabriele Salvatores.
CAST John Malkovich, Peter Stormare, Arnas Fedaravicius, Vilius Tumalavicius.
SCENEGGIATURA Stefano Rulli, Sandro Petraglia, G. Salvatores (dall’omonimo romanzo di Nicolai Lilin). FOTOGRAFIA Italo Petriccione. MUSICHE Mauro Pagani.
Gangster/Drammatico, durata 110 minuti.