BilBOlBul, 21-24 febbraio 2013, Bologna
Film da studio e da furto
Così Vittorio Giardino, autodidatta affermatosi come maestro del fumetto mondiale ed esponente di spicco della ligne claire, ha ribattezzato l’incontro che l’ha visto ospite alla Cineteca di Bologna in occasione di Vittorio Giardino. La quinta verità, mostra inaugurata durante la VII edizione di BilBOlBul festival svoltosi nella città natale dell’autore, tra gli altri, di Sam Pezzo e Max Fridman.
Quella di sabato non è stata una semplice intervista, ma una vera e propria lezione, in cui il disegnatore si è messo a nudo, confessando il suo amore per il cinema e come questo abbia influenzato e condizionato la propria arte. Oggi che buona parte del cinema ha perso la capacità di raccontare attraverso le immagini, basandosi sempre più su trama e dialoghi, mentre il fumetto pare aver trovato nuova linfa, nuove idee e forme di linguaggio, il monologo di Giardino pare quasi riconciliare le due discipline, spesso contrapposte una all’altra in una lotta da cui nessuna è mai risultata vincitrice. Attraverso la comparazione di alcune tavole con sequenze da Vertigine, Casablanca e Il terzo uomo, l’autore ha (di)mostrato quanto il cinema sia presente nella sua opera, sia a livello strutturale attraverso accorgimenti narrativi e compositivi, sia attraverso citazioni di singole inquadrature, dialoghi o tagli di montaggio. Il cinema è stata la “scuola di fumetto” di Giardino: “ho studiato i film per imparare a raccontare una storia per immagini, per apprenderne i metodi di narrazione e riadattarli”, sostiene, ripetendo in definitiva quello che diceva Sergio Bonelli: “il fumetto è la versione statica del cinema”. Le due arti, nate nello stesso anno, sono venute presto a diversificarsi in forme di linguaggio complementari, ma autonome. Se il fumetto già nel 1897 con Katzenjammer Kids (in Italia Bibì e Bibò) di Rudolph Dirks e Harold H. Knerr raggiunge la sua maturità con l’introduzione del baloon, delle vignette e dunque del montaggio, il cinema deve attendere almeno fino a Griffith e a Nascita di una Nazione (1915) per raggiungere la medesima autonomia linguistico-formale. Allo stesso modo, è Winsor McCay che nel 1905 in Incubi di un mangiatore di fonduta introduce la soggettiva, così come in altri fumetti ha anticipato su carta accorgimenti cinematografici come il grandangolo, la prospettiva ottica, il teleobiettivo, la panoramica o la carellata, dimostrando come il fumetto – soprattutto alle origini – sia stato un terreno di grande sperimentazione, venendo spesso a precedere il mezzo tecnico a lui più affine. Chiaramente poi, negli anni successivi, il cinema è venuto a influenzare il fumetto, come è stato per lo stesso Giardino. Tale reciprocità è proprio il tratto fondante del rapporto tra la settima e la nona arte, e lo sarà sempre perché in fondo entrambe, pur se con tecniche diverse, usano immagini in sequenza a scopo narrativo. È il fumettista a sottolineare questo legame, confessando ciò per cui maggiormente invidia lo strumento cinematografico, la musica: “il suono ha un potere evocativo uguale o maggiore all’odore. Sono due sensi primitivi e il poterne usufruire aumenterebbe la percezione di quello che si sta vedendo, accentuandone l’enfatizzazione”. Non sono sogni, ma speranze di un autore che, a sessantasette anni, dimostra ancora grande apertura al nuovo e il desiderio di cimentarsi in altre esperienze, fiducioso che il futuro gli permetta di trasferire le sue aspirazioni su carta, nero su bianco. O magari a colori.