TRENTACINQUE ANNI DI DREDD (UN ANNO FA)
Sly anni ’90, per l’uomo che non deve chiedere mai
La seconda carriera cinematografica di Sylvester Stallone – post Rocky, post Rambo – prende il via con Cliffangher (1993), prosegue con Demolition Man (1993) e decolla definitivamente con Dredd – La legge sono io. Oddio, “decolla”… si fa per dire. All’epoca della sua uscita in sala la nuova scorribanda muscolare di Sly venne salutata come un mezzo flop, stroncata dalla critica e poco sostenuta dal pubblico.
La produzione dilapidò 75 milioni di dollari di budget concentrando tutta la propria attenzione sulla creazione di un mondo futuribile credibile e facendo vestire il giudice Dredd nientemeno che da Gianni Versace. Oltre all’involucro però, non sarebbe stato male ci fosse stato qualcosa di più: degli sceneggiatori capaci di intendere e volere, ad esempio. Il fatto che il film sia tratto dall’omonimo fumetto ideato nel 1977 da John Wagner e Carlos Ezquerra resta un’informazione buona sola per il completamento del cast & credits: “Se si definisce Dredd fumettistico si offendono i fumettari che, di norma, sono persone serie”, scrisse Francesco Bolzoni sull’Avvenire; e infatti l’ardito mix originale di degrado urbano, poteri politici della “casta degli intoccabili” (ehm…) e ingegneria genetica si schianta sulla necessità di ostentazione delle gesta del supereroe Stallone, uomo che non deve chiedere mai – e invero non chiede, si limita a guardare chi lo circonda con occhio da cernia lessa. Per svilire il testo di riferimento basta pochissimo: quello che nel fumetto rimane un volto nascosto (dalla maschera di tutore della legge) nella pellicola di Danny Cannon si palesa in otto minuti. Dredd/Stallone arriva in moto, pronuncia il suo leit motiv (“I am the law!”) e si sfila il casco d’ordinanza. Siamo a Megacity (ex New York), megalopoli violenta e corrotta controllata dai Giudici, poliziotti-giurati-giustizieri. Tutto in uno per accelerare il corso di una giustizia inetta. Ma cosa succede quando anche la legge si macchia di orrendi crimini? Succede che attraverso improbabili accadimenti il protagonista venga arrestato, fugga assieme alla spalla comica del film (Rob Schneider) e riabiliti la propria posizione, sconfiggendo i cattivi e rivestendo nuovamente con ostinata stolidità il ruolo sottrattogli. Un po’ Atto di forza, un po’ Blade Runner, un po’ Terminator e un po’ Strange Days (che tra l’altro è dello stesso anno), Dredd è un’opera di puro exploitation, che lascerà l’eterno dubbio sulla consapevolezza della propria fallacità. Forse siamo di fronte ad un film comico frainteso, e allora abbiamo sbagliato tutto. Perché la totale ridicolaggine dei dialoghi e le sequenze in cui Sly fa funzionare la tecnologia con un cazzotto sono da pura antologia del cinema demenziale.
Dredd – La legge sono io [Judge Dredd, USA 1995] REGIA Danny Cannon.
CAST Sylvester Stallone, Armand Assante, Rob Schneider, Diane Lane, Max von Sydow.
SCENEGGIATURA William Wisher Jr., Steven E. de Souza. FOTOGRAFIA Adrian Biddle. MUSICHE Alan Silvestri.
Azione/Fantascienza, durata 96 minuti.