Canis canem non est
Ci siamo, domani si vota. Nelle ultime settimane, si erano detti stanchi anche gli opinionisti televisivi secondo cui è stata una campagna elettorale deprimente.
Eppure non era iniziata male. Il format dei duelli presidenziali statunitensi, adottato da Sky per le primarie del PD, era stato accolto con entusiasmo dai telespettatori: un cronometro costringeva ad andare dritti al punto, le domande erano dirette ai programmi, non c’era spazio per barzellette. L’informazione televisiva, provata da anni di omologazione, era alla ricerca di novità ed efficacia e, più importante, sembrava volersi mettere al servizio dei cittadini. Sembrava…fino a quando non è ritornato Berlusconi. Appena il Cavaliere annuncia, smentisce e ripropone l’ennesima scesa in campo, l’attenzione mediatica si sposta su di lui come l’occhio di Sauron verso l’Anello del Potere. Trenta apparizioni in un mese, dalla Rai a Telemolise, fanno subito capire che non vedremo più interlocutori e contraddittorio ma, paradossalmente – quando la popolarità del leader ritrovato è ancora molto bassa – ad offrigli il primo grande palcoscenico ci pensa proprio il giornalista da lui bandito con il famoso editto bulgaro. Si sa, la TV è spettacolo e soprattutto audience. Dopo Howard Beale, in Quinto potere, nessuno vuole più morire per un basso indice di ascolto, muoia piuttosto l’informazione. Il risultato, infatti, è che, acquisita nuova legittimazione politica e conferma della sua “invincibilità”, da lì in poi sarà di nuovo Berlusconi contro tutti ed è talmente efficace e redditizio il suo cabaret che le reti riscrivono regole e palinsesti per garantirne la presenza.
Così, in studi inanimati, con ospiti poco avvezzi al confronto, le interviste si fanno “Uno alla volta” e che ci sia l’ex Presidente del Consiglio o l’ultimo faccendiere di partito, nessun collega di Santoro, Travaglio, D’Amico, schierato o meno, riesce a rendergli scomoda la poltrona. Salvo rare eccezioni, di servizio pubblico resta poco o niente. Trasmissioni che avevano costruito la propria novità sulla forza degli inviati, sul racconto della realtà, hanno ceduto il passo (Piazza Pulita); altre hanno dovuto cederlo (Presa Diretta fa una pausa pre elettorale per dare spazio a Ballarò); il nuovo (Lo Spoglio, Leader, Zeta, ecc.) ha già la barba lunga e bianca. Mentre i talk show brindano con i loro ospiti regalando cani al Parlamento (Invasioni Barbariche), la TV fa da cassa di risonanza agli slogan elettorali. E dire che con il bisogno di apparire che hanno i partiti a poche settimane dal voto quel posto in prima serata lo si potrebbe far pagare caro. Invece ci si accorda, si concorda, si preferisce essere concilianti. Non c’è giornalista che riesca a disinnescare alibi e bugie, nessuno che si soffermi su nodi cruciali di democrazia e legalità (diritti civili, voto di scambio, mafia) prima di domandare cosa si farà con l’Imu, per l’Ilva, contro lo Spread. Questo perché, prima della classe politica, è il giornalismo televisivo a non essersi mai rinnovato negli anni e specialmente in TV – lo dice serenamente Paola Saluzzi su SkyTG24 – ha creato un “rapporto di parentela” con i politici che da sempre frequentano gli stessi studi. Non sorprende allora vedere ministri e parlamentari che hanno imparato a ridere mentre vengono derisi, come succede con Crozza a Ballarò. Aldo Grasso, su Corriere.it, parla di spettacolo penosissimo. Penoso, in realtà, è vedere il conduttore del programma delegare a un comico gli argomenti scomodi che dovrebbero essere affrontati seriamente da un giornalista, assecondando quel sentimento populista che si accontenta dell’umiliazione pubblica del politico come effetto catartico per lo spettatore.
Chissà se diamo troppo peso al potere che la TV ha su queste elezioni. La sensazione è che, come nel 1994, 2001 o 2008, sia ancora il mezzo capace di domarli tutti. Oggi più che mai gli schieramenti la rincorrono ma la novità è che per la prima volta l’unico che l’ha rifiutata, scegliendo le piazze e Internet, potrebbe avere un largo consenso popolare proprio perché percepito in contrapposizione all’avanspettacolo della “vecchia politica”. Dopo decenni di dibattiti su quanto la TV influenzi l’opinione pubblica e sul ruolo dello spettatore, domani avremo un altro bel test per capire chi ha in mano il telecomando.