SPECIALE GANGSTER MOVIES
Guerra a L.A.
Scendere in un terreno di gioco già calpestato da figure del calibro di Scorsese, De Palma, Leone, Coppola, Polanski, Mann e i fratelli Coen è un forte rischio, un po’ come ereditare la maglia di un grande numero 10: il paragone può essere schiacciante, e il giudizio più severo di quanto effettivamente meriteresti, a meno che tu non raggiunga, o superi, il livello del tuo predecessore e ne diventi l’erede.
Il gangster movie, nei suoi vari sottofiloni, è stato un terreno in cui hanno giocato parecchi numeri 10, i quali hanno regalato una serie di grandi classici sparsi lungo la Storia del Cinema. Ruben Fleischer, già regista del piccolo cult Benvenuti a Zombieland, avrebbe teoricamente avuto le carte in regola per aggiungere un tassello a questa serie di classici: un cast stellare di glorie affermate come Sean Penn, Josh Brolin e Nick Nolte e di nuove stelle sulla cresta dell’onda come Ryan Gosling ed Emma Stone, un’opera letteraria alla base – i racconti di Paul Lieberman – e una figura di primo piano realmente esistita e di grande potenziale iconico: lo storico boss della mafia ebraica di Los Angeles Mickey Cohen, già immortalato in alcuni romanzi di James Elroy come L.A. Confidential. Il film racconta della formazione di una speciale e segreta squadra di polizia, al limite del fuorilegge, creata per distruggere l’impero del boss e portarlo in galera, attuando quella che si può definire una vera e propria guerra tra le strade di L.A. Si può serenamente dire che Ruben Fleischer abbia sprecato l’occasione: c’è sì un certo mestiere che garantisce una certa piacevolezza nella visione, ma nel complesso il film risulta prevedibile, girato troppo “di pancia” per riuscire a rimanere davvero impresso ed andare oltre la superficie delle vicende raccontate e del loro senso. È vero che giudicare un film del genere partendo dal paragone con i mostri sacri può essere un’impostazione critica sbagliata, non fosse il regista stesso a ricordarlo più volte con citazioni non sempre motivate e ben inserite nella narrazione che si basano, senza rielaborare e rinnovare, su atmosfere, intrecci e tematiche già note e radicate. È un po’ come se il regista, al suo terzo film, non sia ancora abbastanza sicuro di sé e preferisca affidarsi agli schemi e agli stilemi già affermati nelle pietre miliari del genere: non solo i gangster movie classici prodotti dalla Warner (produttrice anche di Gangster Squad), ma anche il barocchismo dei film di Scorsese, la ricerca sulla luce di Mann e riferimenti direttissimi a Chinatown di Polanski, il cui memorabile finale è citato “al contrario” (lì la cinepresa si allontana, qui si avvicina) in una delle scene decisive del film. Così le tematiche e le analisi più interessanti rimangono accenni, come i reduci della guerra che non riescono mai a essere davvero reduci del tutto, o la contrapposizione tra spirito della frontiera incarnata sia dal boss che dai membri della squadra e il conservatorismo “New England” rappresentato sia dalla legge ufficiale che dai mafiosi di Chicago.
Gangster Squad [id., USA 2013] REGIA Ruben Fleischer.
CAST Josh Brolin, Sean Penn, Ryan Gosling, Emma Stone, Giovanni Ribisi.
SCENEGGIATURA Will Beall. FOTOGRAFIA Dion Beebe. MUSICHE Carter Burwell.
Azione/Poliziesco/Drammatico, durata 113 minuti.