Edizione post-moderna
Se penso al Festival di Sanremo mi viene sempre in mente un film stracult, Gole ruggenti di Pier Francesco Pingitore, che riassumeva in chiave grottesca, ma con un’efficacia cronachistica superiore a qualunque approfondimento dei tg dell’epoca, il clima di combine che regnava sulla rassegna musicale allo scoppio di Tangentopoli.
Da lì in poi, ai fiori gettati sul palco per la Pizzi e Claudio Villa (macchiati di rosso dal proiettile di Tenco), si sono susseguiti i lanci delle monetine e gli svolazzamenti delle farfalle, ma lo spettacolo, col suo carrozzone di scandali veri o presunti, ha sempre mantenuto una linea tendenzialmente popolare. Specie negli ultimi anni, in cui il sistema di televoto si è sostituito alla giuria di qualità, decretando automaticamente e con largo anticipo la scontata vittoria del giovane talent di turno. L’accoppiata Fazio-Littizzetto, andata in scena in un momento non proprio di massima stabilità per il paese, dove le poltrone vacanti erano più fuori che dentro la sala del teatro Ariston, ha cercato di proporre un’edizione che conciliasse l’alto con il basso – a cominciare dalla scenografia, omaggio incrociato al barocco e all’informale – inserendo in gara sia i finanziatori dei call-centers e beniamini dei bimbiminkia dal credito telefonico inesauribile, che gli artisti apprezzati da un pubblico di nicchia. Decidendo finalmente di non far concorrere i dinosauri della canzone italiana tra i big, ma di ospitarli all’interno dell’amarcord dedicato ai grandi successi commerciali del passato, alternandolo però ad un tributo rivolto alla grande tradizione lirica, da Verdi a Wagner, di solito nascosta nelle collocazioni di fascia notturna. E’ stato insomma il trionfo del post-moderno, già inaugurato da Benigni con la lettura della Costituzione e ancor prima della Divina Commedia, che riassegna alla televisione il ruolo pedagogico con cui era nata nel dopoguerra. Poco importa che l’ingrato compito di diffondere la cultura alla massa debba passare per il Festival dell’Unità, perché in questo caso bisogna tenere conto del contenitore che racchiude il messaggio. I sermoni trasmessi da Raitre o La7 con Saviano infatti, appaiono intrisi di un’insopportabile retorica perché indirizzati ad una platea cosciente ed autocelebrativa, che fa della lotta civile una medaglia al valore da appuntare sulla propria giacchetta, mentre diventano Vangeli per infedeli se riversati sul primo canale nazionale, durante l’evento che catalizza l’attenzione dell’intera popolazione. E vuoi per le polemiche (stavolta è toccato a Crozza), vuoi per la curiosità di assistere in diretta ad una gaffe o a qualcuno che inciampa sulle scale, chiunque, anche solo per un istante, cede alla tentazione di sintonizzarsi. Ed è così che parlare di femminicidio e coppie omosessuali (non alla maniera de I soliti idioti l’anno scorso) assume un significato totalmente differente ed una reale utilità. Perché scuote e sensibilizza fino all’ultimo cittadino, il più indifferente, abituato finora ad una macchina sanremese macchiettistica, trasposizione in eurovisione della Terra dei cachi.