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Promised Land

sabato 16 Febbraio, 2013 | di Chiara Checcaglini
Promised Land
Speciale
0
Voto autore:

SPECIALE GUS VAN SANT
Fratture superficiali
Non singoli borderline, ma situazioni di ordinaria emarginazione socio-politica di intere comunità in Promised Land, un film in cui ha poco senso cercare a tutti i costi l’impronta di Van Sant, giunto in corsa alla regia di un progetto che ha cambiato più volte autori e impostazione.

La “terra promessa” è quella vastissima porzione di Stati Uniti occupata da grandi spazi e small town messe in ginocchio dalla crisi, lenta e inesorabile: tanto che è difficile rendersi conto quanto manca al punto di non ritorno, mentre si affonda lentamente in una povertà che non guarda in faccia nessuno. Così la promessa di tanti soldi, condita dall’aureola della giusta causa anti-petrolio, è un ottimo biglietto da visita per la Global, colosso dell’estrazione di gas naturale tramite trivellazione idraulica (fracking) e personificata on the road dall’affiatata coppia Steve mediacritica_promised_land1aButler (Matt Damon) e Sue Thomason (Frances McDormand), che va di porta in porta a concludere ricchi contratti di affitto della terra. Steve snocciola le sue origini rurali e la sua fiducia nelle opportunità date dalla Global, sintetizzate in un unico concetto: “fuck you money”, quell’ammontare di denaro che permette di fregarsene, e che lo stesso Steve avrebbe afferrato al volo se gliel’avessero proposto quando la sua Eldridge, Iowa, si spegneva lentamente dopo la chiusura della locale fabbrica.
L’aggressività mascherata del fracking, la moda ambientalista, la competenza di un vecchio professore: tutto attecchisce facilmente tra cittadini che vedono in un qualsiasi intervento esterno un miraggio di risoluzione, laddove latita qualsiasi eco governativo. Alla fine è Steve che, abdicando alla carriera newyorchese, si riappropria di un’appartenenza rurale, pur avendoci quasi convinto con la sua buona fede e la sua visione pratica del mondo quando, prima di beccarsi un pugno, dipinge il quadro desolante di un immobilismo arrabbiato e non propositivo, facile terreno in cui far attecchire illusioni e opportunismi. Non si dimentichi però che è lo stesso Steve dall’etica piuttosto elastica, come quando sottostima con disinvoltura il valore del terreno per gli interessi dei capi: la sua coscienza si smuove solo davanti all’evidenza dei proteiformi mezzi della Global, davanti alla scoperta di essere, come gli altri, tra i manipolati più che tra i manipolatori. Promised Land però non approfondisce ulteriori spunti di conflitto, e non si sofferma a sufficienza né sulla rappresentazione dell’eccezione (il professore Hal Holbrook) né sulla realtà di un disagio così amaramente comune per il presente americano, preferendo adagiarsi sulla soluzione di una crisi di coscienza individuale, per nulla rischiosa e poco incisiva.

Promised Land [Id., USA 2012] REGIA Gus Van Sant.
CAST Matt Damon, Frances McDormand, John Krasinski, Hal Holbrook.
SCENEGGIATURA John Krasinski, Matt Damon, Dave Eggers. FOTOGRAFIA Linus Sandgren.
MUSICHE Danny Elfman.
Drammatico, durata 106 minuti.

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