SPECIALE GUS VAN SANT
Van Sant, esploratore dell’immagine
Nei titoli di coda dell’incompreso, sottovalutato Gerry, Gus Van Sant ringrazia, tra gli altri, anche il grande Béla Tarr. Gerry, infatti, con la sua narrazione dispersiva e frammentaria, i personaggi fragili e in balia degli eventi, la ricercata astrazione figurativa e una dilatazione temporale che costruisce un eterno presente, è un film decisamente autoriale e sperimentale, pieno di piani sequenza, come sarà il successivo Elephant.
Piani sequenza che, ormai lontani dall’idea baziniana di una più realistica e diretta rappresentazione del mondo, girano a vuoto, facendosi consapevole e vana esplorazione del nulla. Sconfinati e misteriosi deserti dell’anima si rispecchiano in uno spazio filmico vasto ed inconoscibile, come la natura spoglia e respingente in cui si perdono i protagonisti di Gerry. Sovrastati dal silenzio assordante, dal paesaggio ipnotico, i due uomini vengono messi a dura prova e costretti a superare se stessi, per ritrovare la strada della salvezza. La mdp li segue ora da vicino, ora da lontano, carrellando fluidamente o simulando un occhio fisso, in long take interminabili, come quello dove uno dei due giovani non riesce a scendere da una roccia. Ma la varietà di punti di vista e inquadrature non rivela molto allo spettatore e lo sguardo freddo dell’istanza narrante, per quanto apparentemente onnisciente, risulta estremamente ermetico ed imperscrutabile nelle sue scelte, anche quando si sofferma sui primi piani. L’umano e l’inanimato sono osservati con lo stesso, reticente, distacco. Né la musica minimalista di Arvo Pärt, che accompagna le immagini solo in poche sequenze, contribuisce alla costruzione di un significato condiviso ed esplicito. Il cinema di Gus Van Sant, e film come Gerry in particolare, piuttosto che dare risposte, preferiscono porre domande. Sono, quindi, profondamente filosofici e interrogativi. Ad esclusione dei suoi film più commerciali e mainstream Van Sant sembra alquanto disinteressato a fare del cinema classico dalla solida struttura narrativa. Che si tratti di un’operazione post-warholiana (Psycho), o di una sorta di Delitto e castigo adolescenziale di ambientazione contemporanea (Paranoid Park), è, dunque, soprattutto l’ambiguità dell’immagine filmica, nelle sue infinite sfumature, ciò che interessa Van Sant. Un’immagine che si fa spesso astratta e poetica, simbolo di un Cinema inquieto e imprendibile, di una libertà creativa che ha pochi concorrenti nel panorama americano contemporaneo.
Gerry [Id., USA/Svizzera/Argentina 2002] REGIA Gus Van Sant.
CAST Casey Affleck, Matt Damon.
SCENEGGIATURA Casey Affleck, Matt Damon, Gus Van Sant. FOTOGRAFIA Harris Savides. MUSICHE Arvo Pärt.
Drammatico, durata 103 minuti.